1° Settembre 2020
Giornata mondiale del Creato
La Giornata che oggi ricorre, come di consueto richiama la nostra attenzione all’essenza dell’impegno che liberamente profondiamo nel testimoniare l’ambientalismo, nella visione etica che ci contraddistingue..
Il particolare momento di interesse proteso dall’intera umanità verso l’incerto futuro che gli stravolgimenti ecologici destano, ci incita ancor più a raccogliere con maggiore impegno e consapevolezza il messaggio che, per la Giornata, giunge dal Santo Padre Francesco il quale ancora una volta, a distanza di cinque anni dalla Laudato Sì, rinnova l’invito a “coltivare l’alleanza con la terra” proponendo una sfida che non interessa solo l’economia e la politica, ma anche una prospettiva pastorale “da ritrovare, nella presa in carico solidale delle fragilità ambientali di fronte agli impatti del mutamento, in una prospettiva di cura integrale. Occorre ritrovare il legame tra la cura dei territori e quella del popolo, anche per orientare a nuovi stili di vita e di consumo responsabile, così come a scelte lungimiranti da parte delle comunità”.
Per questo, papa Francesco ricorda che “la pace interiore delle persone è molto legata alla cura dell’ecologia e al bene comune, perché, autenticamente vissuta, si riflette in uno stile di vita equilibrato unito a una capacità di stupore che conduce alla profondità della vita” (Laudato Si’, n.225).
In occasione della 15a Giornata nazionale per la Custodia del creato le preoccupazioni non mancano: l’appuntamento di quest’anno ha il sapore amaro dell’incertezza
Vicinanza, gratitudine, lungimiranza
Siamo in un anno drammatico: la pandemia da Covid-19 ha portato malattia e morte in tante famiglie, ha messo in luce la nostra fragilità, ha ridimensionato la pretesa di controllare il mondo ritenendoci capaci di assicurare una vita migliore con il consumo e il potere esercitato a livello globale. Sono emerse tante contraddizioni nel nostro modo di concepire la vita e le speranze del futuro. Si è visto un sistema socio-economico segnato dall’iniquità e dallo scarto, in cui troppo facilmente i più fragili si trovano più indifesi. Alle tante persone colpite negli affetti come nel lavoro desideriamo esprimere tutta la nostra vicinanza, nella preghiera come nella solidarietà concreta.
L’emergenza sanitaria ha anche messo in luce una capacità di reazione forte della popolazione, una disponibilità a collaborare. Tanti medici e operatori sanitari pronti a spendersi con generosità (in alcuni casi fino al dono della vita) per la cura dei malati; tanti lavoratori pronti a fare la loro parte – in condizioni spesso onerose – per consentire la prosecuzione della vita quotidiana anche in emergenza; tante famiglie pronte a stravolgimenti nella loro esistenza, restando a casa per cooperare all’azione comune; tanti uomini e donne che hanno pagato prezzi pesanti per la loro prossimità solidale ai più fragili: a tutti e a tutte la nostra gratitudine, per un impegno condiviso che è sempre risorsa fondamentale nell’emergenza. Abbiamo toccato con mano tutta la nostra fragilità, ma anche la nostra capacità di reagire solidalmente ad essa. Abbiamo capito che solo operando assieme – anche cambiando in profondità gli stili di vita – possiamo venirne a capo. Ne è prova anche la solidarietà che si è venuta a creare verso i nuovi poveri che bussano alla porta della nostra vita.
Abbiamo compreso il valore della lungimiranza, per non farci trovare nuovamente impreparati dall’emergenza stessa; per agire in anticipo, in modo da evitarla. Per questo adesso è tempo di ripensare tanti aspetti della nostra vita assieme, dalla coscienza di ciò che più vale e le dà significato, alla cura della stessa vita, così preziosa, alla qualità delle relazioni sociali ed economiche: davvero la pandemia ha evidenziato tante situazioni di vuoto culturale, di mancanza di punti di riferimento e di ingiustizia, che occorre superare. Non ultimo, in un contesto di incertezza e fragilità, diventa fondamentale ricostruire un sistema sanitario fondato sulla centralità della persona e non sull’interesse economico. Il suo smantellamento ha creato le condizioni per un impoverimento sociale.
Un pianeta malato
Cominciamo col guardare al nostro rapporto con l’ambiente; «tutto è connesso» (LS 138) e la pandemia è anche il segnale di un «mondo malato», come segnalava papa Francesco nella preghiera dello scorso 27 marzo. La scienza, provata nella sua pretesa di controllare tutto, sta ancora esplorando i meccanismi specifici che hanno portato all’emergere della pandemia. Essa appare, oltre che per ragioni sanitarie non ancora spiegate, anche come la conseguenza di un rapporto insostenibile con la Terra. L’inquinamento diffuso, le perturbazioni di tanti ecosistemi e gli inediti rapporti tra specie che esse generano possono aver favorito il sorgere della pandemia o ne hanno acutizzato le conseguenze. Questa emergenza ci rimanda, insomma, anche all’altra grande crisi: quella ambientale, che pure va affrontata con lungimiranza. Gli ultimi mesi hanno evidenziato la profondità e l’ampiezza degli effetti che il mutamento climatico sta avendo sul nostro pianeta. Se «nulla resterà come prima», anche in quest’ambito dobbiamo essere pronti a cambiamenti in profondità, per essere fedeli alla nostra vocazione di «custodi del creato».
Purtroppo, invece, troppo spesso abbiamo pensato di essere padroni e abbiamo rovinato, distrutto, inquinato, quell’armonia di viventi in cui siamo inseriti. È l’«eccesso antropologico» di cui parla Francesco nella Laudato si’. È possibile rimediare, dare una svolta radicale a questo modo di vivere che ha compromesso il nostro stesso esistere? Cominciamo con l’assumere uno sguardo contemplativo, che crea una coscienza attenta, e non superficiale, della complessità in cui siamo e ci rende capaci di penetrare la realtà nella sua profondità. Da esso nasce una nuova consapevolezza di noi stessi, del mondo e della vita sociale e, di conseguenza, si impone la necessità di stili di vita rinnovati, sia quanto alle relazioni tra noi, che nel nostro rapporto con l’ambiente. A cinque anni dalla promulgazione della Laudato si’ e in questo anno speciale dedicato alla celebrazione di questo anniversario (24 maggio 2020 – 24 maggio 2021), occorre che nelle nostre Diocesi, nelle parrocchie, in tutte le associazioni e movimenti, finalmente ne siano illustrate, in maniera metodica e capillare, con l’aiuto di varie competenze, le molteplici indicazioni teologiche, ecclesiologiche, pastorali, spirituali, pedagogiche. L’enciclica attende una ricezione corale per divenire vita, prospettiva vocazionale, azione trasfiguratrice delle relazioni con il creato, liturgia, gloria a Dio.
Impegni per le comunità: un orizzonte ecumenico
A conclusione del Convegno ecumenico «Il tuo cuore custodisca i miei precetti» (Milano, 19-21 novembre 2018), voluto dalla Commissione Episcopale per l’Ecumenismo e il Dialogo e promosso dall’Ufficio Nazionale per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso della CEI, assieme alle Chiese cristiane che sono in Italia, si è giunti a formulare alcune indicazioni per le nostre comunità. Possono diventare riferimenti per le iniziative pastorali in questo periodo:
• comunicare la bellezza del creato;
• denunciare le contraddizioni al disegno di Dio sulla creazione;
• educare al discernimento, imparando a leggere i segni che il creato ci fa conoscere;
• dare una svolta ai nostri atteggiamenti e abitudini non conformi all’ecosistema;
• scegliere di costruire insieme una casa comune, frutto di un cuore riconciliato;
• mettere in rete le scelte locali, cioè far conoscere le buone pratiche di proposte eco-sostenibili e promuovere progetti sul territorio;
• promuovere liturgie ecumeniche sulla cura del creato in particolare per il «Tempo del Creato» (1° settembre – 4 ottobre);
• elaborare una strategia educativa integrale, che abbia anche dei risvolti politici e sociali;
• operare in sinergia con tutti coloro che nella società civile si impegnano nello stesso spirito;
• le Chiese cristiane sappiano promuovere scelte radicali per la salvaguardia del creato.
In che misura le nostre comunità sono sensibili a queste necessità impellenti per evitare il peggioramento della situazione del creato, che pare già al collasso? Gli stili di vita ci portano a riflettere sulle nostre relazioni, consapevoli che la famiglia umana si costruisce nella diversità delle differenze. Proponiamo alcune opposizioni su cui riflettere nelle nostre comunità come invito urgente a nuove relazioni: accettare/omologare; accogliere/escludere; dominare/servire. Queste scelte risultano essere propositive per uno stile di vita in cui prevalga il senso sul vuoto, ’unità sulla divisione, il noi sull’io, l’inclusione sull’esclusione.
Il futuro dell’acqua …il nostro futuro
di Rocco Chiriaco
Presidente del Movimento Azzurro
La questione “acqua” può essere annoverata tra i problemi epocali del nostro tempo per le implicazioni correlate alla vita dell’uomo e le problematiche che suscita in ogni parte del mondo. Questo elemento naturale, fondamento ed essenza per ogni forma di vita biologica sul pianeta Terra, la cui tutela tanto appassionò nel suo impegno politico l’on. Merli fondatore del Movimento Azzurro, tanto da far si che il suo nome venisse legato inscindibilmente alla legge di tutela delle acque, promulgata nel 1976. Primo provvedimento organico legislativo per la tutela di un bene naturale collettivo, la legge 10 maggio 1976 n°319, detta Legge Merli, ebbe una portata sociale ed economica così rilevante e rivoluzionaria tale da far definire il suo estensore, in quegli anni di aggressione indiscriminata al patrimonio naturale nel nostro Paese, padre dell’ecologia italiana.
Il Movimento Azzurro, Associazione di Protezione ambientale riconosciuta dallo Stato italiano, ha iniziato il suo impegno sui temi di tutela dell’acqua ed ha ispirato il suo nome ad essa stessa, in quanto l’azzurro è il colore della concentrazione di questo elemento naturale che insieme all’aria è il più presente sulla Terra ed intorno ad essa.
Intanto, per la migliore comprensione del problema “acqua”, bisogna necessariamente considerare alcuni dati statistici :
• Il 70% della superficie terrestre è coperta dalle acque, di questa solamente il 2,5% del totale è acqua dolce (circa il 70% delle riserve di acqua dolce si trova nelle calotte glaciali e gran parte del resto è presente sotto forma di umidità del terreno, oppure si trova in profonde falde acquifere sotterranee sotto forma di acque freatiche inaccessibili) mentre il rimanente 97,5% è composto da acqua salata; perciò, delle risorse mondiali di acqua dolce, l’uomo ne può utilizzare meno dell’1%.
• Le aree di scarsità e di difficoltà idriche sono in crescita, particolarmente nel Nord Africa e nell’Asia occidentale: si prevede, nei prossimi decenni, che il mondo avrà bisogno del 17% di acqua in più per la coltivazione dei prodotti agricoli necessari a sfamare le popolazioni in crescita dei paesi in via di sviluppo e che di conseguenza l’impiego complessivo delle risorse idriche registrerà un incremento pari al 40%; ciò significando che si potrebbe dover affrontare delle gravi carenze nella disponibilità di acqua.
• Le risorse di acqua dolce sono distribuite in maniera estremamente disuguale: le zone aride e semi aride del pianeta, che costituiscono il 40% della massa terrestre, ricevono solamente il 2% delle precipitazioni globali.
• L’irrigazione agricola pesa per circa il 70% sui consumi di acqua e fino al 90% nelle zone aride dei tropici, considerando che i consumi idrici per l’irrigazione sono aumentati di oltre il 60% a partire dal 1960.
• Al tasso di investimento corrente, l’accesso universale all’acqua potabile non potrà ragionevolmente essere raggiunto prima del 2050 in Africa, del 2025 in Asia e del 2040 in America Latina e nei Carabi; complessivamente, per queste tre regioni, che ospitano l’82,5% della popolazione mondiale, l’accesso nel corso degli anni ’90 è passato dal 72 al 78% della popolazione totale, laddove gli impianti fognari sono cresciuti dal 42 al 52%. • Nei paesi in via di sviluppo, fra il 90 e il 95% delle acque di scolo e il 70% delle scorie industriali vengono scaricate nelle acque, dove inquinano le risorse idriche disponibili, senza ricevere alcun trattamento.
• Alla fine dell’anno 2000, il 94% circa degli abitanti delle città aveva accesso all’acqua potabile, mentre questo tasso era solamente del 71% per quel che riguardava gli abitanti delle campagne. Per gli impianti fognari, invece, la differenza era persino maggiore, dal momento che risultava coperto l’85% della popolazione urbana, mentre nelle aree rurali solamente il 36% della popolazione disponeva di impianti fognari adeguati.
• Nel corso degli anni ’90, all’interno dei paesi in via di sviluppo, circa 835 milioni di persone hanno ottenuto l’accesso a un’acqua potabile di migliore qualità, mentre circa 784 milioni sono stati collegati ad impianti fognari. Con l’aumentare delle migrazioni verso le aree urbane, però, il numero degli abitanti delle città che non dispongono di un accesso a fonti di acqua potabile è comunque aumentato di circa 61 milioni.
Ciò porta a considerare, anche in virtù di quanto previsto dalla Conferenza Internazionale sulle Acque dolci (Bonn, Germania, 2001), che ancora molto bisogna fare per aumentare l’accessibilità all’acqua e, soprattutto, dimezzare le persone che non dispongono di impianti fognari (entrambi gli obiettivi vanno raggiunti entro il 2015).
Mentre l’acqua potabile è un bene che in numerose zone viene dato per scontato, in altre essa costituisce una risorsa preziosa sia a causa della sua scarsità, sia a causa della contaminazione delle sorgenti idriche.
Circa 1,1 miliardi di persone, vale a dire il 18% della popolazione mondiale, non hanno accesso all’acqua potabile, mentre più di 2,4 miliardi di persone non dispongono di impianti fognari adeguati. Nei paesi in via di sviluppo, più di 2,2 milioni di persone, per lo più bambini, muoiono ogni anno per delle malattie la cui insorgenza è associabile alla mancanza di acqua potabile, a impianti fognari inadeguati e a un’igiene scadente; potendo contare su un’adeguata disponibilità di acqua potabile e di fognature, invece, l’incidenza di alcune malattie e dei conseguenti decessi potrebbe ridursi fino al 75% la percentuale delle persone che soffrono di malattie causate direttamente o indirettamente dal consumo di acqua o cibo contaminati.
Da un lato, la carenza di acqua potabile è dovuta alla mancanza di investimenti nei sistemi idrici e, dall’altro, ad una inadeguata attività di manutenzione degli stessi; infatti, circa metà dell’acqua convogliata nei sistemi di approvvigionamento idrico viene sprecata a causa di perdite, di allacci illegali e di vandalismi. Senza considerare poi che in alcuni Paesi le persone più facoltose dispongono di allacciamenti al sistema di distribuzione idrica beneficiando di consistenti sovvenzioni per i loro consumi di acqua potabile, mentre ciò non accade per le persone più povere che debbono rivolgersi a costosi rivenditori privati oppure affidarsi a fonti poco sicure.
I problemi legati all’acqua comportano anche importanti implicazioni sociali: spesso nei paesi in via di sviluppo il compito di trasportare l’acqua compete alle donne, che devono percorrere una notevole distanza al giorno, trasportando pesanti contenitori d’acqua; inoltre, per la mancanza di strutture sanitarie, donne e bambine tendono a soffrire maggiormente rispetto agli uomini.
Circa il 70% dell’acqua globalmente disponibile viene utilizzata per l’agricoltura, dove per gli inefficienti sistemi di irrigazione si perde circa il 60% della risorsa, determinando non solo uno spreco di acqua ma anche notevoli rischi ambientali e sanitari, fra i quali la perdita di terreni agricoli produttivi a causa dell’acquitrinizzazione dei suoli e la trasmissibilità di malattie come la malaria a causa delle acque stagnanti.
In alcune zone del mondo il consumo idrico ha comportato degli impatti ambientali impressionanti: le falde freatiche vengono consumate più rapidamente di quanto non riescano a ricostituirsi, riducendo le superfici delle stesse falde che si prosciugano prima di raggiungere il mare. Nonostante le fonti di acqua dolce sono diventate la causa di conflitti e dispute, poiché rappresentano un elemento di fondamentale importanza per la sopravvivenza e lo sviluppo, sono anche motivo di cooperazione fra i popoli che hanno in comune le risorse idriche; le trattative riguardanti la distribuzione e la gestione delle fonti acquifere sono divenute più frequenti dato che la domanda di questa preziosa risorsa è aumentata.
La storia dei rapporti tra gli esseri umani e l’acqua e, soprattutto, tra gli esseri umani fra di loro in relazione all’acqua, è una storia difficile, complessa, tumultuosa, affascinante. Non dimentichiamo, ad esempio, che nella civiltà giudeo-cristiana, l’acqua è associata al racconto del diluvio universale che mette fine ad un’umanità che ha demeritato la bontà del suo Dio, e all’idea di purificazione.
E’ una storia di condivisione e di esclusione, di cooperazione e di guerra, di creazione e di distruzione. L’acqua è stata da sempre uno dei principali strumenti di regolazione sociale. Nelle realtà rurali, dove le condizioni di vita sono strettamente legate alla terra, le strutture sociali sono fortemente contrassegnate dai regimi di proprietà e di distribuzione dell’acqua. Nella maggior parte dei casi, anche laddove l’acqua è considerata un bene comune, essa è diventata fonte di potere e disuguaglianza sociale. E’ raro che ci sia uguaglianza rispetto all’acqua. Per questo è tempo che l’accesso all’acqua sia l’espressione di una società che ha sete e voglia di uguaglianza sul piano dei diritti umani e sociali.
Troppi oggi sono i fronti di conflitto, nel mondo, legati alla disponibilità della risorsa acqua. Nel 1989 l’ex Segretario Generale delle Nazioni Unite Boutros-Ghali, allora Ministro degli Esteri egiziano, osservò, riferendosi ai problemi idrici che “la sicurezza nazionale dell’Egitto è nelle mani di almeno altri otto paesi africani”. Questa frase chiarisce bene quello che rappresenta l’acqua non solo come risorsa ambientale ma anche come fattore economico e politico, e quale sia il potere che i Paesi che si trovano a monte dei fiumi, esercitano sui loro vicini a valle. La minaccia di una guerra per il controllo dei territori ricchi di petrolio non rappresenta niente di nuovo. Ma negli anni a venire l’acqua potrebbe accendere più conflitti dell’oro nero. In alcune regioni del mondo, la scarsità di acqua potrebbe diventare quello che la crisi del petrolio è stata negli anni settanta: una fonte importante di instabilità economica e politica. Quasi il 40% della popolazione mondiale dipende da sistemi fluviali comuni a due o più Paesi.
L’India e il Bangladesh disputano sul Gange, il Messico e gli Stati Uniti sul Colorado, La Repubblica Ceca e l’Ungheria sul Danubio. Un a zona calda emergente è l’Asia centrale, dove cinque ex repubbliche sovietiche si dividono due importanti fiumi già troppo sfruttati, l’Amu Darja e il Sir Darja.
Tuttavia, è soprattutto nel Medio Oriente che le dispute sull’Acqua stanno modellando gli scenari politici ed i futuri economici. Si pensi all’Egitto dove ben 56 milioni di persone dipendono quasi esclusivamente dalle sorti del Nilo.
Molti Paesi dipendono da corsi d’acqua che vengono da altri Paesi. Più del 40% della popolazione mondiale vive in bacini idrografici divisi tra diversi Paesi.
Anche nella contrapposizione Israelo-Palestinese, l’acqua gioca un ruolo fondamentale. L’equo sfruttamento delle fonti comuni tra Israele e i territori di Gaza, secondo la formula di scambio “acqua contro pace”, trova difficoltà dovute al fatto che i bisogni socio-economici di entrambe le parti si coniugano con rivendicazioni politico ideologiche difficilmente conciliabili. Da parte palestinese si avanzano diritti storici di sfruttamento del patrimonio idrico conservato dalle falde acquifere che nascono in Cisgiordania, comprese quelle che scendono naturalmente in territorio di Israele, venendo cosi sfruttate in prevalenza da quello stesso Stato. Soltanto quando l’esercizio di simili diritti verrà ripristinato, si sostiene, potranno essere negoziati accordi di cooperazione per una gestione coordinata delle risorse. Come nel caso dei territori e delle risorse energetiche l’acqua è oggetto di conflitti che a volte sfociano in guerre. Il futuro della gestione delle risorse idriche appare quindi quanto mai complesso e delicato, e allo stesso tempo sottovalutato dai governi e dalle organizzazioni sovranazionali che non comprendono il potenziale di rischio socio-politico che deriva da un uso irrazionale e non lungimirante di questa importante risorsa ambientale.
Le implicazioni sociali, politiche, economiche ed ambientali derivanti dall’uso della risorsa acqua sono, d’altronde, innumerevoli.
L’idropotabile, che presenta prelievi consistenti nei paesi cosiddetti industrializzati o più avanzati. In Italia i prelievi ammontano a circa 8 miliardi di metri cubi annui e rappresentano il fabbisogno lordo delle reti acquedottistiche. Negli ultimi decenni si è verificato un aumento significativo dei prelievi di oltre il 35%. Nel mondo ci sono circa un miliardo e mezzo di persone che non possono fare affidamento su di una fornitura costante di acqua potabile. Inoltre ci sono 2,4 miliardi di persone, un terzo della popolazione mondiale, che non hanno a disposizione degli impianti fognari adeguati. Più 2.2 milioni di queste persone, in gran parte bambini, che vivono nei paesi in via di sviluppo, muoiono ogni anno a causa di malattie derivanti dalle precarie condizioni igienico sanitarie.
L’energia, l’industria, L’Agricoltura che, come abbiamo già visto, utilizza circa il 70% della risorsa idrica disponibile, (come media mondiale, essendoci picchi di impiego dell’80 e del 90% in Africa ed in Asia) per fini agricoli ed alimentari.
Gli effetti antropici, attraverso l’azione dell’uomo sul territorio, conseguente ai fattori di sviluppo economico e di espansione insediativi, non determina soltanto il tipo di paesaggio ma influenza anche le aree interessate dal deflusso delle acque. La costruzione di dighe per realizzare invasi.
L’innalzamento degli argini, le opere destinate a trattenere le piene, la progressiva occupazione degli alvei dei corsi d’acqua non solo con coltivazioni ma anche con infrastrutture stradali e insediamenti urbani ed industriali, hanno pesantemente modificato i processi di deflusso superficiale, con conseguenze spesso rovinose.
A questo si aggiunge il continuo processo di inquinamento delle acque sia superficiali che profonde. Risorse e fabbisogno
Una evidente tendenza di aumento dello squilibrio tra la disponibilità delle risorse idriche e il fabbisogno complessivo è presente anche in Italia, seppure in forma più attenuata rispetto all’andamento mondiale. La precipitazione media nel nostro Paese è circa di 1.000 millimetri all’anno, pari quindi a un afflusso medio di 296 miliardi di metri cubi/anno, con zone che presentano una piovosità molto elevata, con valori che possono superare anche i 2.500 millimetri/anno, e zone (prevalentemente alcune aree del Sud d’Italia) in cui la precipitazione non raggiunge i 500 millimetri/anno. A questa difforme distribuzione geografica si aggiunge una diversificata distribuzione delle piogge nell’arco dell’anno, caratterizzata da forte stagionalità, fattore questo sfavorevole per la maggior parte delle utilizzazioni poiché si riflette direttamente sul ciclo idrologico e quindi sui deflussi superficiali.
Appena il 37%, pari a 110 miliardi di metri cubi/anno, del ricordato quantitativo di risorse sarebbe realmente disponibile; ma di tale volume la parte effettivamente utilizzabile dipende in effetti dalla capacità di invaso dell’insieme dei serbatoi esistenti in Italia. Senza alcun serbatoio, come accadeva fino a un secolo fa, erano disponibili solamente 18 miliardi di metri cubi all’anno. Ai nostri giorni, con un insieme di serbatoi che invasano complessivamente circa 8,5 miliardi di metri cubi, è possibile utilizzare realmente circa 40 miliardi di metri cubi all’anno (è stato calcolato che, per portare l’utilizzazione delle risorse dagli attuali 40 miliardi a 55 miliardi, occorrerebbe quasi triplicare la capacità di invaso esistente; per poter utilizzare teoricamente tutti i 110 miliardi di metri cubi/anno, si dovrebbero decuplicare gli invasi fino a oltre 80 miliardi di metri cubi di invaso). Aggiungendo il contributo delle risorse idriche sotterranee, di difficile valutazione, ma stimabili in circa 12 miliardi di metri cubi all’anno, si può affermare che la disponibilità idrica totale dell’Italia, con i serbatoi di cui oggi si può disporre, è di circa 52 miliardi di metri cubi all’anno.
Per quanto riguarda la stima dei fabbisogni, a prescindere dall’oggettiva difficoltà di provvedere, in forma unitaria, a raccogliere dati sistematici o saltuari sulle utilizzazioni delle acque in Italia, oltre agli usi tradizionali (civili, agricoli e industriali), si sono aggiunti ulteriori fabbisogni di tipo ambientale. Si è infatti consolidato il concetto del minimo deflusso vitale, portata che deve essere garantita per permettere la sopravvivenza della biocenosi acquatica e la fruibilità del paesaggio.
Bilancio idrico in Italia
Il nostro è un Paese tra i più ricchi d’acqua del mondo; ha una elevata capacità idrica, infatti:
• 155 mld di mc disponibilità annua teorica d’acqua per usi civili e produttivi.
• 2700 mc quota pro-capite per abitante.
• Il 97% dell’acqua dolce in Italia è nelle falde acquifere.
• Irregolarità dei de flussi e inefficienze riducono questa disponibilità a 110 mld di mc e a 2000 mc pro-capite.
• L’acqua effettivamente utilizzabile per tutti gli usi scende a 42 miliardi di mc. ossia a 764 mc. a persona equivalenti a 764 mila litri a persona l’anno a poco più di 2000 litri a persona al giorno.
• Un italiano su due beve solo acqua minerale perché non si fida dell’acqua del rubinetto, l’Italia è il primo paese in assoluto nel consumo pro-capite d’acqua minerale.
• La disponibilità d’acqua diminuisce ogni anno, le località in emergenza idrica crescono di numero, i costi ed i prezzi dell’acqua sono in rapido aumento.
• Il 15% della popolazione italiana, ossia circa otto milioni di persone per tre mesi l’anno (giugno-settembre) è sotto la soglia del fabbisogno idrico minimo di 50 litri di acqua al giorno a persona.
• L’acqua erogata ogni anno in Italia, nel recente passato da 7 mila enti e soggetti diversi, (ancora esistenti, nonostante la riforma del sistema idrico approvata dal Parlamento nel 1994), attraverso 13 mila acquedotti, è pari a 8 miliardi di metri cubi.
• Un terzo dell’acqua disponibile in Italia ( 2 milioni di m.c.) si disperde dunque lungo le reti fatiscenti e corrose degli acquedotti. Ed è questo un problema tipicamente di programmazione e di gestione alla portata di una pubblica amministrazione che operi per risultati e non più per atti. Il 30% dell’acqua che entra nelle condotte idriche si perde per strada e non arriva nelle case.
• Anche il 40% dell’acqua per irrigazione (pari al 70% medio dei consumi totali) si perde lungo le tubazioni dalle sorgenti, dagli invasi alle prese e agli idranti.
• L’inquinamento costituisce il maggior pericolo per le riserve idriche.
• L’Italia è il Paese che consuma più acqua in Europa, il terzo al mondo dopo Canada e Stati Uniti.
• Il riciclo e il riutilizzo dell’acqua in Italia non esistono, non sono praticati.
Gli usi dell’acqua
A fronte dei 42 miliardi di m3 di risorse idriche utilizzabili, i prelievi ammontano a circa 40 miliardi di m3. Per ciò che concerne l’uso delle risorse idriche in Italia, al nord la domanda è maggiore (66%) a causa di una prevalente attività agricola e zootecnica a carattere intensivo e di un’accentuata concentrazione industriale, mentre nel sud si riscontra una cronica carenza di acqua per tutti gli usi.
Quanto alla destinazione d’uso delle risorse a livello nazionale, il settore agricolo assorbe il 60% dell’intera domanda di acqua del paese, seguito dal settore energetico e industriale con il 25% e dagli usi civili per il 15%.
In un prossimo futuro c’è da attendersi, anche per effetto di una politica tariffaria che trasferirà quasi per intero il costo dell’acqua sul consumatore, che si giunga ad un uso più razionale delle risorse e quindi ad una conseguente riduzione dei consumi.
Nel settore agricolo esigenze di mercato e una rinnovata concezione dell’agricoltura stanno portando ad una riduzione nell’utilizzazione delle risorse. Una evoluzione che sembra incoraggiare la specializzazione dell’agricoltura nazionale che sta puntando al ridimensionamento quantitativo delle produzioni a vantaggio di una più elevata qualità. In questo contesto l’uso di tecniche risparmiatrici di acqua tende a diffondersi, specialmente nel Mezzogiorno, dove senza acqua non è possibile un’agricoltura competitiva.
Secondo l’ultimo rapporto del Ministero dell’ ambiente italiano, sebbene nel corso degli ultimi anni si sia registrata una riduzione dei carichi inquinanti riversati nelle acque interne , tale circostanza si riflette ancora solo parzialmente in un miglioramento dei corpi idrici.
Nei principali bacini idrografici, con la sola eccezione dell’ Adige, i dati disponibili rivelano la presenza di consistenti tratti con gravi compromissioni, in particolare a valle delle grandi città (con o senza depuratore).
Il tasso di eutrofizzazione nei grandi laghi prealpini si mantiene al di sopra di una soglia di accettabilità e in alcuni casi è addirittura crescente.
La qualità delle acque sotterranee presenta ancora significativi problemi di inquinamento dovuti sia a fonti puntuali, sia a fonti diffuse dipendenti dall’intrusione salina, sia a perdite dalle reti fognarie e dal settore agro-zootecnico.Le principali forme di inquinamento sono di natura microbiologica, da nitrati, metalli, solventi.
Molti, critici e crescenti sono i fenomeni di intrusione salina (oltre 70 casi segnalati, distribuiti su tutto il territorio) particolarmente accentuata sulla costa tirrenica , nella porzione marginale della Pianura Padana , nel Salento , negli Iblei e nella Piana di Palermo.
Il sistema di depurazione mostra segni di miglioramento, ma all’ interno di un quadro tuttora preoccupante.Sulla base dei dati disponibili, si può valutare che circa 1/3 del carico inquinante non si sia oggi trattato o adeguatamente depurato.
Non soddisfacenti permangono le condizioni del sistema di approvvigionamento idropotabile e di distribuzione.
L’ obiettivo “qualitativo” perseguito in materia di depurazione è quello di assicurare acque depurate “riutilizzabili”nel settore agricolo e nell’ industria.Ciò significa rendere disponibile per l’ uso potabile risorsa pregiata, oggi utilizzata da tali comparti per usi meno nobili (l’obiettivo a breve è di rendere disponibile 1 miliardo di metri cubi di acqua depurata da destinare al riutilizzo). Questa dunque la situazione italiana, dove però la questione “acqua”, non va governata esclusivamente riguardo agli aspetti dell’ inquinamento o della distribuzione delle risorse che pure sono di primaria importanza, ma l’ acqua comporta altre importantissime implicazioni con la difesa del suolo e la sua gestione, con la tutela del paesaggio, la pianificazione del territorio e la programmazione dello sviluppo economico. Quindi necessita , oggi più che mai, ciò che il Movimento Azzurro da anni, sin dalla sua costituzione rivendica: “ una integrazione della difesa del suolo e gestione delle risorse idriche con la pianificazione del territorio”.
La politica ambientale, come la politica territoriale, è trasversale alle diverse politiche di settore. La legislazione attuale risulta frammentaria e inadeguata, nonostante il d. l.vo 152/99 abbia recepito le direttive comunitarie in materia di inquinamento delle acque dagli scarichi e depurazione.
I ritardi nella applicazione delle precedenti norme, la legge “Galli” del 1994, ha fatto si che l’Italia, da paese di punta negli anni 80, nel settore del contrasto all’inquinamento delle acque, grazie alla legge “Merli”, sia oggi diventata la cenerentola dei paesi europei.
Occorre ,quindi, in materia di politica territoriale, per l’acqua, procedere alla unificazione e sintesi di tre grandi temi ed aree di attività, che nonostante i processi legislativi degli ultimi tempi: la legge 183 del 1989, la legge 36 del 1994, la legge 152 del 1999, nelle pratiche e nelle politiche risultano separate.
Un corpo idrico, un paesaggio fluviale, un acquifero sotterraneo, un profilo costiero sono parte integrante e dominante del paesaggio complessivo e quindi di quella pianificazione che, nel momento stesso in cui impone vincoli restrittivi, pone anche premesse e direttive a Comuni, Province, CC.MM. e Regioni, per scelte urbanistiche valorizzative del territorio, non distruttive delle risorse che vi sono contenute.
Dobbiamo ripartire dai fiumi, nella pianificazione e gestione di città e territori, anche di quelle città e quei territori che non ne avvertono una presenza immediata ne incombente. E per questo vi sono alcuni passaggi necessari da realizzare.
Prima di tutto, la tutela della qualità delle acque e la salvaguardia dei sistemi idrici devono essere ricondotte all’interno della gestione delle risorse idriche e non dopo il loro riutilizzo: è il rispetto integrato di quantità e qualità dei corpi idrici.
Poi la gestione delle risorse idriche deve essere effettuata all’interno della pianificazione dei bacini idrografici e non al di fuori degli interventi di difesa idrogeologica e di sistemazione idraulica dei corsi d’acqua: è il coordinamento della gestione delle risorse idriche con la difesa del suolo.
Infine la pianificazione dei bacini idrografici deve realizzarsi all’ interno della pianificazione territoriale ed urbanistica, di cui è parte integrante, e non dopo che si sono prese le decisioni sulle scelte territoriali ed urbanistiche:è l’identificazione dei bacini idrografici con il territorio complessivo.
E’ necessario un tale approccio affinché la difesa del suolo, insieme alle incluse attività di gestione delle risorse idriche e di valorizzazione delle aree protette, diventi il nucleo fondamentale e direzionale di una nuova pianificazione territoriale ed urbanistica, rovesciando cultura e prassi che vedono la progettazione attuale del territorio, come inconsapevole, o insofferente alle politiche ambientali e agli interventi di difesa del suolo.
Quale sarà dunque il futuro delle nostre acque?
Non c’è dubbio:il futuro delle acque, dello sviluppo delle nostre attività, dell’ ambiente e dunque della nostra vita è nelle capacità di operare una corretta gestione delle risorse idriche, all’ interno delle azioni di pianificazione territoriale, di gestione delle strutture e delle infrastrutture, di manutenzione delle opere insistenti nel bacino idrografico.
Interventi di gestione del rischio idraulico nei fiumi, opere e azioni di difesa del suolo, di protezione dalle alluvioni, di riassetto idrogeologico, dovranno armonizzarsi con le attività di razionalizzazione degli schemi acquedottistici in opportuni ambiti territoriali, con le politiche di riduzione degli sprechi e delle perdite idriche e di ottimizzazione delle risorse, con i programmi di opere di risanamento delle acque, di tutela e salvaguardia degli ecosistemi, con piani ed azioni di riuso e di valorizzazione delle disponibilità idriche.
Il piano di bacino è lo strumento capace di coniugare la difesa delle acque dall’ inquinamento con la difesa del territorio dalla violenza delle acque e degli uomini: solo così potrà valorizzarsi la risorsa rappresentata da corpi idrici che, insieme a tanto benessere e spesso suggestiva bellezza, racchiudono rischi e contraddizioni che sembrano insanabili.
Per concludere
La questione chiave da affermare, rimane, comunque, quella che “l’acqua è un diritto umano e sociale”, oggi ancora disatteso dalla stessa umanità. La gravità del problema necessita più che mai dello sforzo e dell’attenzione della intera umanità. Questo principio che è enunciato nel manifesto “Contratto mondiale dell’acqua”, al quale il M.A. ha aderito dalla prima ora, non è passato nella sua interezza al 2° foro mondiale dell’Acqua tenutosi all’Aja nel marzo 2000. Malgrado l’opinione largamente diffusa tra i partecipanti, favorevole al riconoscimento dell’acceso all’acqua per tutti come un diritto u8mano e sociale imprescrittibile, i rappresentanti governativi di più di 130 Stati hanno adottato una Dichiarazione ministeriale nella quale non fanno alcun riferimento al principio del “diritto umano” ma affermano che l’accesso all’acqua per tutti deve essere considerato solo come un “bisogno vitale”. Asserendo così di fatto che per assicurare una gestione efficace essa deve essere oramai considerata di fatto un “bene economico” (e non solo un bene sociale).
Durante il successivo e recente forum sull’acqua di Kyoto, l’attenzione del mondo polarizzata sul conflitto in Iraq ha fatto si che il vertice mondiale sulla crisi idrica, passasse in secondo piano e si concludesse con un nulla di fatto. Eppure la gravità del problema che interessa l’intera umanità, necessita più che mai dello sforzo e dell’attenzione dell’intera comunità internazionale.
La pressoché totale assenza, a causa del conflitto, dei capi di Stato e di Governo degli oltre 150 Paesi partecipanti alla Conferenza Mondiale che avrebbe dovuto dare una risposta concreta in termini operativi al grave problema di indisponibilità di acqua pulita, nonché di totale assenza di ogni sistema igienico e di smaltimento delle acque sporche per tanta parte di umanità, ha fatto si che una preziosa occasione venisse sciupata.
Kyoto, già tristemente nota per il fallimento delle intenzioni lì invocate in favore della diminuzione delle emissioni di CO2 in atmosfera, rischia di fare il bis su di una questione di ancora maggiore vitale importanza: l’acqua, che è molto di più di una risorsa naturale, è un diritto umano e sociale. Questo è il monito che dovrebbe maggiormente far leva sulle coscienze della Comunità internazionale.
La cosa che in qualche modo preoccupa, però, è che essendo, circa il 70% della risorsa acqua (come detto) utilizzata per fini agricoli ed alimentari, il programma operativo per far bastare questa preziosa e limitata risorsa, è affidato alla FAO. Tanto, mentre la popolazione mondiale aumenta presentando una necessità sempre crescente di nutrire e gestire i consumi idrici in modo sostenibile in previsione di un incremento demografico di altri due miliardi di persone entro il 2030, proprio in quei continenti dove maggiore è il fabbisogno di acqua.
Se ci rifacciamo alla esperienza in campo agricolo e della distribuzione della risorsa alimentare, realizzata dalla FAO, dobbiamo convenire che essa non è esaltante ed anche oggi, l’organismo internazionale che sta attuando il suo programma operativo in oltre 70 Paesi, promuovendo semplici ed economiche tecnologie per piccoli agricoltori, dichiara che per migliorare il controllo idrico in molti Paesi poveri, sono necessari volontà politica e investimenti a livello locale, nazionale ed internazionale.
L’impegno è sempre politico perché dalla politica scaturiscono le scelte e quindi le decisioni, nonché il potere per attuarle.
Il Movimento Azzurro, che all’acqua, quale elemento fondamentale per la vita, ispira il suo maggiore impegno, teme le sole dichiarazioni di principio. Una dichiarazione finale da parte dei governi rappresentanti dei Paesi più industrializzati, senza impegni economici, tesi a realizzare progetti concreti finalizzati a garantire l’accesso alla risorsa acqua a quei miliardi di esseri umani della popolazione mondiale privi di alcuna minima forma di servizi per la raccolta e distribuzione dell’acqua, né ovviamente, per lo smaltimento delle acque insane, non risolve alcunché. Impegna, si, ma questi problemi necessitano di soluzioni immediate, perché ne va della vita dell’uomo.
Il Movimento Azzurro ha aderito tra i primi in Italia al Manifesto per il Contratto Mondiale sull’Acqua, ovvero una grande mobilitazione in favore di politiche per la tutela e la equa distribuzione del bene primario e fondamentale per la vita biologica di ogni elemento del Creato, affinché si addivenga ad un Contratto Mondiale sull’Acqua.
Il nostro impegno sociale si rivolge a sensibilizzare e ad orientare la politica, a tutti i livelli dal locale a quello internazionale, verso tali decisioni, non dimenticando, altresì, che la questione “acqua” ha forte connessione con la questione “territorio”, oltre che per i riflessi economici, come si è detto, in campo agricolo-alimentare e sanitario, anche per quelli che riguardano l’integrazione tra la difesa del suolo e la gestione delle risorse idriche, la tutela del paesaggio, la pianificazione del territorio e programmazione dello sviluppo sostenibile.
Diffondere la cultura della solidarietà, aiutare le persone nell’esercizio dei diritti di cittadinanza, svolgere un forte ruolo di advocacy : sono questi i ruoli e le funzioni del volontariato che opera insieme agli altri per cambiare un sistema che crea ingiustizie e che dimentica i valori fondanti di una comunità solidale.
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