Le associazioni ambientaliste non sono tutte lì a perorare la nuova ondata di incentivi alle installazioni eoliche prevista dalla SEN 2017. Altura, Amici della Terra, Comitato per la Bellezza, Comitato Nazionale per il Paesaggio, Italia Nostra, Lega Italiana per la protezione degli Uccelli, Mountain Wilderness, Movimento Azzurro, Stop al Consumo di Territorio, Verdi Ambiente e Società e Wilderness Italia, con un nuova argomentata lettera, si rivolgono ai Ministri competenti del nuovo Governo affinchè sia ritirato il decreto ministeriale per le nuove aste previste per il biennio 2019 e 2020, per scongiurare una riduzione delle tutele territoriali e paesaggistiche e per evitare che il nuovo Piano Energia e Clima obblighi a costruire impianti eolici dovunque e “a tutti i costi”. Ne pubblichiamo il testo integrale.
Al Ministro per lo Sviluppo Economico Luigi Di Maio
Al Ministro dell’Ambiente e della tutela del Territorio e del Mare Sergio Costa
Al Ministro per l’Economia Giovanni Tria
Al Ministro per i Beni e Attività Culturali Alberto Bonisoli
Al Ministro degli Affari regionali e delle Autonomie Erika Stefani
Al Ministro degli Affari Europei Paolo Savona
Roma, 25 giugno 2018
Egregi Ministri,
Il 31 luglio dello scorso anno le scriventi associazioni ambientaliste, tutte fautrici delle fonti energetiche rinnovabili (di seguito FER) ma consce dei limiti delle fonti rinnovabili elettriche intermittenti – e delle conseguenze della colossale speculazione finanziaria e territoriale che caratterizza il loro sviluppo da anni ingovernato – avevano trasmesso al Presidente del Consiglio dei Ministri ed ai Ministri interessati una lettera di osservazioni al documento sottoposto a consultazione pubblica “Strategia Energetica Nazionale” (di seguito SEN), individuandone alcune implicazioni negative (LINK). Lo scopo era quello di richiamare una più rigorosa valutazione, in primo luogo, sulle gravi conseguenze derivanti dal perdurare di una politica disinvolta in materia di insediamento di centrali eoliche.
In estrema sintesi, si chiedeva allora di fermare il non necessario disastro urbanistico, territoriale, ambientale, paesaggistico in atto con la corsa all’eolico (e ad alcune altre tecnologie impattanti come il cosiddetto mini-idro), e di dirottare più utilmente le risorse finanziarie verso serie politiche di efficienza e risparmio energetico, riscaldamento-raffrescamento, trasporti e soprattutto ricerca e innovazione. Si accettava una eventuale, moderata crescita delle rinnovabili elettriche non modulabili solo con il fotovoltaico sulle superfici edificate.
Per confrontarsi su tale lettera di osservazioni, il 6 settembre scorso alcuni rappresentanti del cartello di associazioni firmatarie erano stati ricevuti al Ministero dello Sviluppo Economico. Al termine dell’incontro, il segretario generale del Ministero aveva chiesto delucidazioni per iscritto, tra l’altro, sul “consistente recupero della produttività” del sistema idroelettrico a bacino prospettato nel documento comune. Ne era scaturito un pro memoria per il Ministero dal titolo “Enormi potenzialità inespresse del sistema di generazione idroelettrica a bacino esistente in Italia” (LINK).
Nessuna delle nostre argomentazioni, suggerimenti o critiche è stata tuttavia presa in considerazione nella redazione del testo definitivo della nuova SEN.
Al contrario, l’obiettivo europeo al 2030 del 27% della produzione di energia elettrica da FER in rapporto al consumo interno (peraltro non vincolante per i singoli Stati) è stato addirittura portato nel testo definitivo della SEN al 28%, concentrando l’aumento nel settore delle rinnovabili elettriche, il cui obiettivo è stato aumentato, rispetto al già velleitario, costosissimo ed eccessivamente performante 48-50% proposto nel testo della SEN sottoposta a pubblica consultazione, al 55%, e riservando questo ulteriore aumento proprio ai settori dell’eolico e del fotovoltaico (ma di fatto solo eolico), energie ovviamente non programmabili. Una differenza incrementale del 5 – 7% è tutt’altro che trascurabile. Lo scorso anno la produzione dell’intero settore eolico in Italia, con tutti i danni ambientali e paesaggistici che gli oltre 7.000 aerogeneratori esistenti hanno già arrecato, ha corrisposto a circa il 5% dei consumi elettrici nazionali, pari a, si badi bene, 1,5% del fabbisogno energetico complessivo!
La nuova SEN prospetta di impegnare complessivamente, per il raggiungimento degli obiettivi al 2030, altri 35 miliardi di euro. Facendo qualche conteggio elementare scopriamo che il solo aumento dall’attuale 32 – 35% (in condizioni di normale piovosità) al 55% della produzione elettrica da rinnovabili sui consumi previsto per il 2030 dovrà essere, in costanza dei consumi correnti, grosso modo equivalente alla attuale produzione elettrica da FER incentivata, cioè di 65,5 TWh. Appare stravagante credere che per finanziare tale incremento si possano spendere meno di 35 miliardi (ripetiamo: i 35 miliardi dovrebbero essere destinati a tutte le rinnovabili, compresi i settori riscaldamento/raffrescamento e i trasporti) se negli ultimi anni, per incentivare la stessa quantità di energia elettrica, a regime risultano essere già stati impegnati circa 230 MLD, una cifra, cioè, equivalente al 14% del PIL italiano corrente o ad oltre il 10% dell’immane debito pubblico del Paese. Lo sforzo fin qui compiuto ha contribuito alla deindustrializzazione e all’impoverimento del Paese, già colpito dalla crisi economica nell’ultimo decennio.
Non solo: privilegiando, tramite la priorità di dispacciamento, le fonti non programmabili come eolico e fotovoltaico, si è pure destabilizzato tutto il sistema elettrico italiano. Ne leggiamo la gravissima ammissione a pag.115 e 116 della stessa SEN. Nel 2016 non abbiamo solo sperperato 14,4 miliardi di incentivi per sussidiare appena 65,5 TWh su un consumo interno lordo di 321,8 TWh (una spesa, cioè, equivalente a oltre l’uno per cento del PIL annuale, considerando tutti i costi ancillari dovuti alla natura erratica della produzione eolica e fotovoltaica, per incentivare la produzione di appena il 20% dell’energia elettrica consumata in Italia), ma abbiamo anche più volte corso “rischi per la sicurezza”, ovvero black out dalla durata e dagli esiti imprevedibili.
La Strategia Energetica Nazionale si riduce così ad una Strategia Elettrica Nazionale dove appare ormai evidente che ci troviamo ad affrontare le spinte di alcune lobby che stanno cercando di imporre “una” soluzione come “la” soluzione del futuro, evitando che il dibattito e le analisi prendano in considerazione tutte le soluzioni possibili, scegliendo la migliore, la più conveniente e sostenibile per il Paese. La decarbonizzazione non passa infatti solo dall’elettrico, né tanto meno dall’eolico industriale, meno che mai in Italia.
Non è un caso, per altro, che con il termine “Strategia” energetica si sia evitato quello di “Piano” energetico che, come per le Regioni, avrebbe comportato l’assoggettamento ad una Valutazione Ambientale Strategica per verificarne la effettiva sostenibilità.
Il Governo uscente, invece, ha lavorato con alacrità, prima dell’incombente fine della legislatura, su due fronti convergenti:
1) per scrivere un nuovo decreto (c.d. decreto FER 1) per altre, ennesime aste per eolico e fotovoltaico (ma che si tradurrà in solo eolico grazie a norme urbanistiche di favore), al fine di incentivare un gran numero di grossi impianti FER non programmabili già nel triennio 2018-2020. Iniziativa del tutto irrazionale e intempestiva se proprio la SEN (pag.17) ne prevede l’evoluzione verso la market parity già dal 2020. La sproporzione nella ripartizione degli incentivi (da addebitare nelle bollette elettriche) favorisce alcuni comparti a scapito di altri ed esclude, senza preavviso e motivo apparente, interi settori. Considerando poi che gli impianti FV e eolici di grandi dimensioni sono destinati ad essere incettati, come sta accadendo per quelli già esistenti, da grandi gruppi multinazionali, il decreto appare strumentale a comportamenti speculativi. Questo pessimo provvedimento dovrebbe approdare alla conferenza Stato Regioni, dalla quale riteniamo doveroso che sia ritirato per risparmiare alla Nazione ulteriori danni.
2) per una legislazione ambientale più permissiva per l’eolico. Leggiamo dalla nuova Sen: (pag. 266) “A livello amministrativo si proporranno (…) linee guida (…) in materia di energia (…) in particolare in tema di semplificazioni delle autorizzazioni per le infrastrutture e gli impianti energetici (…) In questo processo di semplificazione, un’importanza specifica avrà l’aggiornamento delle linee guida sugli impianti di produzione di energia elettrica rinnovabile…” e (pag. 88): “Per la questione eolico e paesaggio, pare opportuno un aggiornamento delle linee guida per il corretto inserimento degli impianti eolici nel paesaggio e sul territorio, approvate nel 2010, che consideri la tendenza verso aerogeneratori di taglia crescente e più efficienti, per i quali si pone il tema di un adeguamento dei criteri di analisi dell’impatto e delle misure di mitigazione“.
Va da sé che siamo assolutamente contrari alla riduzione delle tutele per l’installazione di nuovi o più potenti impianti eolici, che anzi meriterebbero ben altre modifiche. Già adesso le linee guida nazionali in materia di eolico offrono tutele risibili mentre Piani paesistici e norme urbanistiche regionali in materia sono “ostaggio” di plateali condizionamenti. Parlare di “mitigazione” (si veda anche la pag. 55 della SEN) risulta offensivo non tanto per noi ma per il buon senso di chi usa questo termine per impianti colossali posti il più delle volte in cima alle montagne e nelle aree più preservate del Paese. Una virtuale passeggiata tra le colline martoriate dell’Italia Centro meridionale varrebbe più di mille descrizioni.
Sebbene i partiti vincitori delle recenti elezioni politiche avessero espresso forti critiche al provvedimento, come anche alla SEN, in quanto “atto politico realizzato da una composizione parlamentare nettamente diversa dall’attuale”, l’iter per il decreto FER 1 è proseguito anche dopo il voto, contro tutte le evidenze e nonostante gli obiettivi al 2020 già da tempo raggiunti, i rischi di black out, l’usura tecnologica precoce delle pale e dei pannelli già installati, i costi in bolletta già ora esorbitanti, gli aumenti preannunciati nelle bollette elettriche delle famiglie e delle piccole e medie imprese a causa dei costi accessori indotti dalle FER non programmabili (per il finanziamento agli energivori, il capacity market, gli effetti del sistema degressivo rinviato appositamente a dopo le elezioni, le nuove reti “resilienti”, i sistemi di accumulo e soprattutto, in prospettiva, per il costo schiacciante dei nuovi incentivi per raggiungere gli obiettivi della SEN al 2030), le alternative più convenienti, ecc.
Non ha prodotto alcun effetto ostativo neppure il traumatico annuncio da parte del Ministero dell’Ambiente tedesco che la Germania – alla cui politica di svolta energetica (Energiewende) gli estensori della SEN hanno tratto evidente ispirazione – non avrebbe rispettato il suo impegno di riduzione delle emissioni di CO2 come stabilito dagli accordi europei per il 2020, nonostante i traumatici e costosissimi 58 GW di eolico installato (in Italia sono meno di 10 GW), e 43 GW di potenziale solare. Non è qui inopportuno ricordare che la maggioranza degli aerogeneratori giganti installati in Italia provengono proprio da imprese tedesche.
Pur tuttavia, le nostre maggiori preoccupazioni e l’urgenza della nostra richiesta di incontro risiedono anche nell’incombere dei tempi di presentazione del Piano Nazionale energia e clima. Lo sviluppo della SEN 2017 è propedeutico alla preparazione di un cosiddetto “Piano Nazionale energia e clima” (anche questo sfuggendo agli obblighi di VAS), la cui prima versione dovrebbe essere trasmessa in bozza alla CE entro la fine del 2018. Ecco come il testo definitivo della nuova SEN (pag. 259) illustra la sia pur fluida situazione attuale: “Sebbene il dibattito sulle proposte comunitarie sia in corso, sembra condivisa, nelle sue linee generali, la parte della proposta di regolamento che richiede a tutti gli Stati Membri di redigere dei Piani nazionali integrati per l’energia e il clima (…) In quest’ottica, la SEN 2017 costituisce la base programmatica e politica per la preparazione del Piano energia e clima, che dovrebbe essere trasmesso in bozza entro la fine del 2018 e in versione definitiva entro la fine del 2019”.
Nel Piano Nazionale energia e clima verranno dunque tradotti in cifre gli obiettivi italiani al 2030 illustrati nella Strategia Energetica ed in particolare quelli della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, che ci appaiono, per l’entità sproporzionata dei costi sottesi, il vero traguardo a cui si punta nel documento. Se lo spirito della nuova SEN dovesse essere mantenuto, ci dobbiamo attendere, in prospettiva 2030, l’installazione di una quantità stragrande di pale eoliche. Il successivo Piano Nazionale, se approvato (come sarà approvato) dalla CE, diventerebbe infatti vincolante per l’Italia e renderebbe tale installazione (cha la nuova SEN fa vagheggiare pressoché a costo zero), di fatto, obbligatoria. Si dovranno quindi costruire a tutti i costi impianti eolici dovunque. “A tutti i costi” si deve intendere sia in senso stretto (come esborso finanziario per la collettività) sia in senso metaforico. E cioè, crediamo di potere anticipare, con l’allentamento dei già flebili vincoli ambientali e paesaggistici ed il superamento di ultra decennali tutele amministrative, da considerarsi a quel punto alla stregua di puri e semplici impacci.
Il problema della decarbonizzazione è arduo, costoso e ultra complesso; in corrispondenza, l’orizzonte tecnologico, al pari di quello politico, è in continua e tumultuosa evoluzione.
Dobbiamo perciò evitare di ipotecare il futuro dell’economia nazionale, già altamente regolamentata e compressa, con ulteriori vincoli – che l’UE non ha nemmeno reso obbligatori – visto che il debito residuo acquisito in incentivi alle FER elettriche ammonta a oltre 150 miliardi fino al 2031. Ulteriori errori dettati dalla fretta o dall’ideologia alla moda sarebbero esiziali per il Paese e niente affatto risolutivi per i cambiamenti climatici.
Confidiamo che i Ministri competenti del nuovo Governo, nel momento in cui si apprestano a predisporre il Piano energia e clima, vogliano valutare le argomentazioni di una parte importante dell’ambientalismo che ha a cuore il futuro del pianeta ma anche la salvaguardia del territorio e la conservazione del paesaggio italiani.
ALTURA, il Presidente Stefano Allavena
Amici della Terra, la Presidente Monica Tommasi
Comitato per la Bellezza, il Presidente Vittorio Emiliani
Comitato Nazionale per il Paesaggio, direttore Gianluigi Ciamarra
Italia Nostra, il Presidente Oreste Rutigliano
LIPU Birdlife Italia, il Direttore generale Danilo Selvaggi
Mountain Wilderness, il Presidente Franco Tessadri
Movimento Azzurro, il vice Presidente Dante Fasciolo
Movimento Naz. Stop al Consumo di Territorio, il Coordinatore Alessandro Mortarino
VAS Onlus, il Presidente Guido Pollice
Wilderness Italia, il Segretario generale Franco Zunino