In difetto di una scelta fondamentale, che deve essere di natura etico-politica-culturale, gli sforzi sono condannati a disperdersi, a contraddirsi.
Non crediamo si debbano privilegiare i risultati economici nel valutare lo sviluppo della qualità della
vita. Non ci accontentiamo perciò di un’economia sospinta e bilanciata secondo le risorse materiali, compatibile con la pura logica del profitto.
Siamo certi che “sviluppo sostenibile- sia quello che non contraddice lo sviluppo sociale, nella giustizia nel rispetto della realtà geografica e culturale e secondo equità. La nostra volontà sorretta dalla morale cristiana, non può non indirizzarsi verso questo difficile ma concreto obiettivo, il quale ha, per l’appunto, valenza ecumenica.
Concordo, quindi, con quanti affermano che dovrebbe attrarre di più la nostra attenzione l’impatto potenziale e reale dell’etica e dei valori sociali sui processi decisionali, che non l’impatto che la nostra civiltà ha sul mondo esterno.
Altri asserti a nostro avviso importanti riguardano la necessità di intendere la legge non secondo la deformazione odierna che ne fa minuziosi (e spesso non chiari) “regolamenti comportamentali”, ma come assunto etico dotato di “generalità e astrattezza” indicativo di un contenuto programmatico. in sostanza la vera legge è definizione di un perché non indicazione di “come” e di “quanto”. Sotto questo aspetto potremmo inputare al nostro apparato legislativo, in quanto mediocre filiazione a dei codici napoleonici, di essere più lontano dall’origine romana di quanto non sia l’apparato legislativo germanico, fondato sulla riflessione della filosofia del diritto, e, finalmente, quello britannico, il solo considerabile “romano” in cui neppure la costituzione ha un suo testo privilegiato. Giusto riconoscimento dei valori di tradizione e di libertà che fanno grande la legge.
Un simile modo, o se si preferisce un ritorno al grande modo romano originario, di concepire la legge è essenziale, a mio avviso, per stabilire un contesto etico-filosofico-politico aperto allo studio e all’inserimento delle “mete ultime della società umana …[a] un’interpretazione “teleologica” (finalista) o per “ultimas causas” come usavano dire gli scolastici.
La “comprensione” del problema ambiente viene prima della “soluzione” del problema inquinamento.
Le applicazioni, ad es. al caso di un fiume inquinato, delle concezioni finora chiarite sono altrettanto precise quanto la affermazione della mancanza di una “strategia sociale” della chiesa (a causa del prevalere della prassi sulla “doctrina” e dei limiti dell’orientamento antropocentrico tradizionale spesso responsabile di “un atteggiamento distruttivo dell’ambiente”). Sul piano della elaborazione teorica pesa negativamente il non aver voluto studiare in forma globale la “comprensione del problema mondo”. Si è dimenticato il Leibnitziano “scientia quo magis speculativa magis practica”.
Abbiamo di fronte i nefasti di una politica e di una economia degradate a pratica e questo vale anche per l’ecologia verdista, leghista, ambientalista, rimozionista (una rimozione estesa dal rifiuto al malato cronico). Per queste vie si è rifiutata” l’etica della terra”.
L’uomo “sociale- è invece oggi quello che semte di fare parte consapevole di una “comunità di organismi”. Occorre saldare processo cognitivo e processo educativo in una “significazione globale” se si vuole raggiungere l’intelligenza (intus legere) della realtà e consentire alle parti di convivere armonicamente in funzione dell’insieme.
LA CONFERENZA DI RIO.
A Rio si sono riuniti per quindici giorni, nel mese di giugno 1992, 170 capi di stato e di governo (molti, secondo machiavelli, che pone pari a quattordici il limite di una assemblea se si vuol pervenire a sagge decisioni) per discutere sullo stato del pianeta e concordare una strategia per la salvaguardia dell’ambiente globale. L’impresa era ambiziosa. Gran parte degli scopi previsti è stata mancata. soprattutto non si è riusciti a dimostrare che l’ambiente deve esser un protagonista dei negoziati internazionali, sul quale riversare, in chiave di compatibilità” e sviluppo sostenibile, i problemi della cooperazione fra nord e sud, fra paesi ricchi e quelli della compagine ex sovietica, oltre a quelli in via di sviluppo e ai più arretrati.
Tuttavia, la dichiarazione di Rio è un vero e proprio codice di condotta ambientale, ha infatti stabilito:
– l’uomo è al centro dello sviluppo sostenibile;
– gli stati hanno sovranità sullo sfruttamento delle proprie risorse e non devono causare danni all’ambiente dei paesi confinanti;
– l’eliminazione della povertà è il primo requisito per il raggiungimento dello sviluppo sostenibile;
– debbono essere ridotti e portati a graduale eliminazione i processi produttivi antiecologici;
– deve essere migliorata la ricerca delle tecnologie pulite;
– devono essere perfezionate le politiche demografiche.
Manca, purtroppo, un progetto gnoseologico ed etico ma va sottolineata l’importanza della cosiddetta “agenda 21”, la quale costituisce il primo master plan dell’ambiente globale. A essa dovrà riferirsi ogni futuro trattato in materia ambientale.
“L’agenda 21” contiene le linee guida per la tutela delle acque interne e degli oceani, dell’atmosfera, del suolo, delle foreste; per lo smaltimento dei rifiuti; per il trasferimento delle tecnologie di produzione compatibili fra le aree privilegiate del mondo e le arretrate; per il finanziamento dei progetti ambientali.
Gli altri due strumenti approvati a Rio sono la convenzione sul clima e la convenzione sulla biodiversità.
La prima indica l’obiettivo della stabilizzazione e riduzione delle emissioni di anidride carbonica e degli altri gas a effetto serra. La medesima convenzione legittima la decisione della Cee di stabilizzare le proprie emissioni di CO2 entro il 2000, ai livelli del 1990. L’importanza della convenzione sulla biodiversità sta nello stabilire, per la prima volta, il dovere di salvaguardare la complessità delle specie viventi fissando criteri per lo sfruttamento del patrimonio genetico e biologico a fini industriali. La sua efficacia è stata però indebolita dal rifiuto del presidente americano di firmarla.
È noto che l’attuale ministro italiano dell’ambiente, non andò a Rio, in qualità di commissario Cee all’ambiente, dichiarando che “optando per l’ipocrisia non si salverà la terra”. il nostro ministro rilevava infatti che a Rio era aperta la porta alle illusioni di salvaguardare lo sviluppo pur senza ridurre i consumi e gli sprechi energetici; che in particolare l’atteggiamento degli Usa è basato sul mantenimento di uno stile di vita contrario alle esigenze di uno sviluppo sostenibile, in quanto richiede un eccessivo dispendio energetico. “Noi, invece – egli ha dichiarato in quell’occasione – siamo convinti che la crescita economica costante, la difesa dell’occupazione, non siano affatto incompatibili con la protezione dell’ambiente; anzi, soltanto in questo modo sarà possibile colmare il divario fra nord e sud”.
Un’ultima riflessione spinge a sottolineare il peso che ha, in materia di protezione ambientale e di sviluppo durevole o sostenibile, la responsabilità individuale, ossia di ognuno di noi singolarmente preso.
Non vi è dubbio che piani e strategie spettino agli stati; che l’opera di indirizzo e promozione tocchi alle più diverse forme associative; e che, in questa particolare ottica, si debbano promuovere le attività di volontariato e le azioni di coordinamento, che sono appunto una delle dominanti del nostro movimento. ed è altrettanto certo che il popolo dell’abbondanza è moralmente tenuto a fare cambiamenti nello stile di vita; altrimenti, quello sviluppo economico che molti chiamano globale. Sottintendendo che deve essere programmato. Non avrà nulla a che fare con l’attuazione della giustizia e quindi non sarà, compatibile con la finalità generale del comunicare e del partecipare risorse e servizi.
Ridurre le iniquità attuali, garantire il diritto allo sviluppo e, contemporaneamente, all’ambiente sano, è una questione di determinazione morale. Dobbiamo riordinare la società perché l’unica famiglia umana possa perseguire il bene comune. Per questo dobbiamo cominciare, ognuno dall’interno della nostra coscienza morale, a ripensare gli stili di vita. I problemi sembrano troppo grandi perché un individuo li affronti da solo; ma in realtà sappiamo che è possibile cambiare, cominciando dalla singola persona umana e dalle scelte che essa compie. Occorre respingere le scelte condizionate da bisogni creati artificialmente e promossi da interessi commerciali o dai mezzi di comunicazione di massa.
Il concetto di sviluppo sostenibile non va impiegato per giustificare ogni sorta di progettualità sociale ed economica, creando scenari futuri che hanno assai poco di credibile e di scientifico.
Esistono, l’ho abbiamo già accennato, obiettivi concreti e degni di esser presi in considerazione dai singoli, benché, poi, non possiamo -essere raggiunti senza scelte politiche fondamentali o che impegnino la responsabilità delle classi dirigenti di ogni Paese, avanzato o no.
Individuare alcuni di questi scopi, da far valere nell’immediato, risponde a un imperativo etico preciso: anzi, si fa morale ambientale sul serio unicamente individuando i temi dell’operatività anche globale e gnoseologica, da mettere in conto a tutti, fin da questo preciso momento.
In questa sede mi limiterò a qualche esempio, puntando su cose evidenti, che non esigono particolari
giustificazioni e spiegazioni.
Vale il principio “chi inquina paga”; si può quindi volere che l’attuale fase di negoziazione dell’accordo internazionale Gatt sugli scambi commerciali, includa la valutazione dell’impatto ambientale.
Si deve pretendere che le industrie e aziende multinazionali adottino standard ambientali globali.
Bisogna adottare, in accordo con il settore privato, piani nazionali per il trasferimento di tecnologie.
Si deve pretendere l’estensione capillare dei rilevamenti, o monitoraggi, delle principali variazioni degli ecosistemi. a mio avviso, tanto un’area urbana, quanto una soggetta a desertificazione, deve essere tenuta
costantemente sotto controllo, poiché gli interventi di salvaguardia, contenimento e sviluppo, integrabili tra loro, come già detto, non possono partire che dalla conoscenza diretta e in tempo reale dei fattori di cambiamento.
Non posso che rivolgere ancora per un momento lo sguardo ai risultati delia conferenza di Rio.
Essi appaiono deludenti se presi in esame settorialmente; ma nell’insieme il summit della terra, ha fatto acquisire agli stati e agli operatori economici che non può esservi sviluppo senza protezione ambientale, e che non avranno successo economico le imprese che non faranno dell’ecologia uno dei pilastri delle loro strategie.
Pertanto, Rio deve essere considerata come il punto di partenza per una nuova etica, che impegni per un di più di solidarietà, sia dei popoli tra di loro, sia fra uomini e natura. tale solidarietà va articolata rispettando le diversità culturali e le tradizioni locali, anche se i principi di fondo da individuare e da rispettare debbono essere il più possibile comuni, universali.
Oltre venti anni fa, alla conferenza di Stoccolma, si andò ripetendo che solamente un’azione collettiva, strategicamente orientata, avrebbe potuto contrastare il degrado ambientale, visto come minaccia diretta dello sviluppo economico e culturale. Nei tempi più recenti, finita la guerra fredda e diminuite le spese militari, cresciuto il numero dei governi ispirati a democrazia, ci siamo trovati anche a riaffermare i diritti dell’uomo mentre il libero mercato avanza nel mondo. Purtroppo attualmente tale scenario è venuto meno a causa del conflitto Russo-Ucraino, provocato dall’aggressore sovietico e che interessa tutto il mondo. Sembra quindi venuto il momento di far valere un nuovo accordo mondiale, un concreto “contratto sociale” a favore della Pace e dello sviluppo, incentrato sui valori della persona e della umanità tutta.
Non basta, “rispettare” l’ambiente: ogni conservazione va attuata in una prospettiva di trasformazione tenendo conto che i problemi che siamo chiamati a risolvere non sono meramente materiali. al tempo stesso, in un mondo divenuto in pochi decenni molto più piccolo, nel quale l’informazione, sia generica che specialistica, si moltiplica di ora in ora, si vanno modificando i ruoli dello stato e dei suoi corpi intermedi, mentre invecchiamo rapidamente le forme della cooperazione internazionale fin qui praticate.
Fa parte altresì dei nostri obblighi morali l’attenzione a tutti gli effetti, nessuno escluso, dell’avanzamento scientifico e tecnologico; anzi incombe l’obbligo di non disancorare la ricerca naturale dalle finalità dell’uomo. Tanto più che la società dei consumi procede senza che la logica del mercato e dei profitti sia
canalizzata verso scopi in armonia con i contenuti della fede.
La enciclica “Centesimus Annus” ci invita a considerare che mai più di adesso la dimensione etica e spirituale deve trasfigurare l’ordine politico ed economico, se si vuole ottenere uno sviluppo autentico, cioè quello che rifiuta la disoccupazione e la miseria come strutture del benessere altrui, che si oppone alla riduzione dei meccanismi di protezione sociale, che denuncia la diseducante urbanizzazione selvaggia e lo spreco delle risorse non rinnovabili.