L’invasione degli impianti per la produzione di biometano da reflui zootecnici e colture dedicate o da FORSU e fanghi da depurazione urbana e industriale sta avvenendo nel nostro Paese a ritmi sostenuti.
L’incentivazione massiccia, 1 miliardo e 900 milioni di euro dal PNRR, sollecitata dall’azione lobbistica esercitata a Bruxelles e poi riscossa in Italia consente di trarre notevole profitto anche senza un reale ricavo da produzione e vendita di biometano.
Contributi a fondo perduto fino al 40% in conto capitale e incentivi di 110 euro al MWH per gli impianti a matrice zootecnico-agricola e di 62 euro al MWH per impianti che utilizzano FORSU rendono appetibile e sostenibile dal punto di vista della remunerazione un’attività industriale, di questo si tratta, che altrimenti non sarebbe interessante per chi investe.
Solitamente si crea una srl con un bassissimo capitale sociale incaricata di individuare aree idonee e reperire le autorizzazioni necessarie e poi la realizzazione dell’impianto va a società del settore che ne rilevano titoli eincentivi.
E non importa che il biometano sia la fonte energetica a più basso EROI (rapporto tra energia ricavata e energia consumata per ricavarla) tra tutte e non sia, di fatto, sostenibile, gli incentivi bastano e avanzano a riempire le tasche dei gestori di un impianto.
Di fatto il biometano non è neppure economia circolare in quanto necessità di combustione per produrre energia, provocando oltretutto emissioni di gas serra, polveri sottili e altri inquinanti nocivi alla salute.
Intorno ad un impianto vi è inoltre una notevole mole di traffico pesante per i necessari approvigionamenti del materiale da biodigerire e lo smaltimento delle scorie di lavorazione trasformate in parte in digestato-compost e in parte in rifiuti da smaltire.
La necessità di reflui zootecnici incrementa inoltre la realizzazione di allevamenti intensivi che, soprattutto per quelli avicoli, vedono in questi impianti la possibilità di aggirare la direttiva nitrati che prevede un quantitativo massimo di smaltimento diretto di deiezioni sul terreno per evitare l’inquinamento dalle acque.
Gli impianti a FORSU favoriscono invece il turismo dei rifiuti, il Veneto ha il primato nazionale in questo campo, importando una mole di rifiuti organici da tutta Italia, isole comprese, quasi pari a quella che produce esso stesso.
Gli impianti di trattamento FORSU e fanghi in Veneto sono già più che sufficienti per la massa complessiva da trattare.
Sui fanghi c’è sempre il rischio dell’utilizzo di quelli saturi di Pfas.
C’è poi l’aspetto legato ad odori e qualità della vita: chi vive in prossimità o sottovento rispetto agli impianti si gode, oltre ai già citati inquinanti, i profumi da letame o discarica che, nonostante le tecnologie, vengono emessi.
Trovare una comunità come Ariano nel Polesine che, oltre a numerosi allevamenti intensivi, accetta di ospitare un impianto monstre che tratterà decine di migliaia di tonnellate di deiezioni di polli è un affarone per gli imprenditori del settore.
E coi soldi del PNRR che tutti i cittadini dovranno restituire alla UE tra un paio d’anni, possono tranquillamente permettersi un Festival.
Come sempre panem et circenses a nostre spese in ogni senso.
Rete No biometano e allevamenti intensivi
Elenco sottoscrittori documento:
Comitato No Biometano Papozze;
Comitato Ambiente e sviluppo Cavarzere;
Comitato salute e territorio per il futuro di Canaro;
Comitato lasciateci respirare Vescovana;
Comitato difesa ambiente Corbola;
No biogas Ceregnano;
Terre Nostre Villadose;
Rete dei comitati polesani a difesa dell’ambiente;
Coordinamento Nazionale Terre Nostre;
Italia Nostra sezione di Rovigo;
Lipu sezione di Rovigo;
Movimento Azzurro Veneto.
Rovigo, 17 Aprile 2024