Il Movimento Azzurro si è proposto sulla scena del mondo ambientalista ormai da un trentennio, fondato dall’onorevole Gianfranco Merli, sincero democratico e cattolico impegnato in politica, professore e studioso molto serio ed avveduto, proprio per approcciare ad un nuovo modo di fare politica per la tutela ambientale e praticare vero ambientalismo.
Da ambientalisti di morale cristiana ci siamo voluti porre sullo scenario dell’ecologismo italiano, come movimento di proposta, un movimento che non sfugge anche alla critica o alla polemica quando queste siano opportune per evidenziare guasti, ma che non cerca la ribalta della cronaca esclusivamente per condannare.
Stiamo purtroppo assistendo a questo modo inconsulto di fare ambientalismo ormai da troppi anni, le scene della ribalta sono aperte solo per poche organizzazioni che ormai si sono tramutate in tutt’altro che associazioni di volontariato.
Le cifre riguardanti i fenomeni di dissesto idrogeologico nel nostro Paese, rappresentate nel tempo dal Dipartimento della Protezione Civile, sono relative agli ultimi ottant’anni, ma sono state presentate sul finire dell’attività del Dipartimento della Protezione Civile alla Camera; esse ci parlano di oltre 5.400 alluvioni e 11 mila frane, indicando il rischio idrogeologico secondo solo a quello sismico tra i rischi naturali che affliggono il nostro Paese.
Un altro dato è certo: negli ultimi venti anni i problemi del dissesto idrogeologico si sono aggravati causando danni per oltre 30 mila miliardi e centinaia di vittime.
Le cause sono state enunciate numerose volte da esperti e da rappresentanti del mondo ambientalista.
Non è un caso che il fenomeno del dissesto idrogeologico si sia aggravato negli ultimi venti anni, tale è infatti il tempo sopravvenuto all’abbandono da parte dello Stato delle politiche per il territorio e dell’azione di manutenzione dello stesso attraverso la diretta realizzazione di opere di difesa idraulica. Durante gli anni 70 dello scorso secolo, lo Stato ha delegato parte dei propri compiti alle Regioni, dapprima con il DPR 11 del 1972, poi con la grossa delega del DPR 616 nel 1977.
Contestualmente a questo trasferimento di competenze è venuta meno la politica nazionale e l’interesse verso la tutela del territorio in Italia, così come sono venute meno la politica forestale e la politica regionale in agricoltura. Negli ultimi anni si è proceduto solo a cambiare le denominazioni dei Ministeri e delle competenze ad essi conferite. Il Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste, una volta Ministero di primaria importanza economica, è divenuto prima Ministero delle risorse agricole e forestali, materie queste devolute alle Regioni, poi altre modifiche ad ogni cambio di governo, fino ad arrivare all’attuale Ministero dell’Agricoltura e della “Sovranità alimentare”?? le Foreste sono scomparse dalla intestazione ministeriale e non si comprende se vi sia un raccordo sulla materia tra le attuali “competenze delle Regioni” e quelle dello Stato, che a questo punto non ne ha più, non ravvisandosi alcun riferimento al patrimonio forestale italiano in alcuno dei dipartimenti ministeriali.
Questa politica forestale risulta in perfetta continuità con quella del governo Renzi che nel 2016 riuscì a sopprimere il Corpo Forestale dello Stato, una benemerita Amministrazione Statale che ha operato negli scorsi due secoli, per la tutela e salvaguardia del patrimonio forestale italiano e la difesa del suolo attraverso la realizzazione di opere ingegneristiche tese alla conservazione, tutela e miglioramento della rete idraulico-forestale del Paese.
Tale sciagurata opzione, ha costituito la spallata finale per il totale abbandono del presidio istituzionale, nei secoli scorsi posto a salvaguardia del territorio italiano attraverso le circa milleduecento Stazioni Forestali, esistenti sul territorio nazionale.
Necessitano livelli di responsabilità differiti e non basta che i Ministeri centrali preposti a queste materie esercitino un coordinamento, che per altro è contestato, come nel caso dell’agricoltura, dalle Regioni, ma è necessario che lo Stato, attraverso il Parlamento, si riappropri della politica di indirizzo nazionale in materia di difesa del suolo, così come in materia forestale.
L’ambiente e il territorio, che è parte costitutiva di esso, non hanno confini amministrativi, non si possono proporre politiche ambientali per confini amministrativi; i bacini idrici, per esempio, non sempre coincidono con i limiti territoriali di un ente locale e la legge 183 del 1989, pur necessitando di un’ulteriore revisione, non trova oggi ancora definitiva applicazione. La radiografia del nostro Paese fornisce un quadro assolutamente allarmante, sia per il numero di avversità climatiche, che è stato ricordato, sia per la loro distribuzione sul territorio.
L’Italia risulta periodicamente colpita ed in misura crescente da alluvioni, inondazioni, straripamenti, frane e smottamenti, da eventi cioè che dimostrano il degrado ambientale e non solo del territorio medesimo, ma anche la sua fragilità ed insieme l’assenza di difese adeguate.
Le indagini del servizio geologico nazionale hanno evidenziato che sono a rischio idrogeologico ben 4 mila e 600 Comuni, circa il 65% del territorio nazionale.
In Italia il numero dei Comuni che negli anni tra l’ultimo decennio del 1900 ed il primo degli anni 2000 hanno registrato la frequenza delle frane e delle alluvioni è stata sempre maggiore, sono stati ben 1.500 i Comuni colpiti da alluvioni e più di 2.000 quelli che hanno subito danni, spesso molto ingenti, a causa di frane e di smottamenti.
I risultati prodotti fino ad oggi dalla legge 183 sulla difesa del suolo non sono da considerarsi soddisfacenti. La Commissione parlamentare Ambiente e Territorio, dove noi abbiamo anche riferito il nostro parere nell’indagine conoscitiva sul dissesto del territorio italiano, dice che l’analisi allo stato della pianificazione degli interventi, la disponibilità di risorse tecnico-scientifiche e di adeguati finanziamenti, evidenziano le difficoltà di conseguire gli obiettivi a suo tempo previsti, mirati alla prevenzione dai rischi alluvionali e al risanamento dal degrado di ampia parte del territorio nazionale.
Inoltre, l’impianto istituzionale della l.183 risulta ampiamente disatteso, soprattutto in alcune zone del Paese e nessun piano di bacino, che è l’atto più significativo ed importante di programmazione dell’azione e degli interventi sul territorio, è stato finora formulato in maniera completa.
D’altronde il fatto che le norme vengono puntualmente tradotte in progetti ed atti efficaci dipende anche dalla conoscenza dei parametri fisici del territorio e dei fenomeni idrologici. Ugualmente dipende dalla tempestiva conoscenza degli stessi parametri la possibilità di evitare circostanze atmosferiche eccezionali e che queste circostanze atmosferiche si traducano in brutale distruzione di vite umane.
Permane tuttora un grosso disordine, cioè una sovrapposizione nelle reti di monitoraggio dello Stato e delle Regioni, così come nei servizi cartografici che sono molte volte indipendenti tra di loro, pure nella possibilità che oggi le moderne tecnologie ci consentano di effettuare con trasparenza una interconnessione.
Tale situazione contribuisce alla totale mancanza di pianificazione degli interventi di difesa del suolo e ad un caos della programmazione economico-finanziaria da parte delle Regioni. Di tutte le opere di sistemazione idraulica realizzate fino agli inizi degli anni 70 pochissime hanno ricevuto regolari interventi di manutenzione, l’incuria ed il tempo hanno ad oggi vanificato l’esistenza di molte di esse.
Le cronache di questi giorni, come quelle degli anni scorsi, ci hanno indicato anche quanti miliardi si spendono normalmente in Italia per i soli interventi urgenti di risistemazione territoriale. Prevenzione, quindi, conviene anche in termini economici.
La prevenzione, come abbiamo visto, richiede investimenti, quindi spesa ed occupazione. Questa però è una spesa che si può e si deve preventivare, insieme alla pianificazione degli interventi. Bisogna affermare la necessità di una svolta seria e definitiva rispetto ad un atteggiamento del “tirare a campare” fino alla prossima frana; bisogna che lo Stato imponga da subito una seria direttiva per il monitoraggio del territorio.
Allora l’appello che vuole scaturire da questo convegno è rivolto alla classe politica perché affronti in maniera seria e definitiva il nodo delle competenze in materia di tutela e pianificazione dell’uso del territorio, anche se necessario nell’ambito delle riforme istituzionali, in modo da dare certezza ad un intervento che veda la responsabilità e l’indirizzo politico in testa allo Stato, come per altro avviene in altre nazioni europee, quali la Francia che nell’ambito dell’Unione Europea rappresenta, a nostro avviso, il migliore modello di Protezione Civile ma anche di organizzazione statale in materia di politiche territoriali.
Questo modello naturalmente deve vedere l’ampio coinvolgimento delle Province, in primo luogo, nonché dei Consigli Regionali; deve salvaguardare la potestà programmatoria delle Regioni in riferimento alla spesa ed agli interventi, deve spingere il federalismo al pieno coinvolgimento delle autonomie locali, con in primo luogo i Comuni, per la realizzazione degli interventi e per il controllo del territorio in funzione previsionale e di prevenzione del danno.
Un appello è rivolto anche alla società civile e alle organizzazioni che la rappresentano. Serve essere continuamente propositivi, mettere a disposizione le proprie competenze e vigilare come società civile sul fatto che si dia un seguito agli impegni assunti a vari livelli istituzionali, tanto per migliorare organicamente l’organizzazione e la protezione territoriale in Italia, altrimenti iniziative come questa che stiamo svolgendo rimarranno fini a se stesse, improduttive ed allora sarà una sconfitta per tutti noi e non solo per gli sfortunati di turno che saranno coinvolti nel prossimo dissesto idrogeologico.
Rocco Chiriaco
Presidente Nazionale Movimento Azzurro