Laudate Deum. Morandini: “Il Papa ci invita a prendere in mano la storia e orientarla a un futuro sostenibile”

Il documento, dice al Sir il teologo, è anche “un appello fatto da un uomo che pur essendo avanti negli anni mantiene questa fortissima capacità di guardare avanti, questa lungimiranza che lo fa attento al futuro, alle sue splendide possibilità, ma anche alle minacce su di esso. È uno sguardo vigilante, che intreccia la costante attenzione alla pace e alla qualità della vita umana con un’attenta percezione dello sfondo ambientale, planetario, globale in cui essa si realizza e si dispiega”

foto SIR/Marco Calvarese

Un appello a tutte le persone di buona volontà di fronte alla crisi climatica che avanza e rispetto alla quale “non reagiamo abbastanza, poiché il mondo che ci accoglie si sta sgretolando e forse si sta avvicinando a un punto di rottura”. A otto anni dall’enciclica Laudato si’ lo lancia Papa Francesco, con l’esortazione apostolica Laudate Deum, pubblicata nel giorno della festa di San Francesco, il 4 ottobre, nella consapevolezza “che l’impatto del cambiamento climatico danneggerà sempre più la vita di molte persone e famiglie. Ne sentiremo gli effetti in termini di salute, lavoro, accesso alle risorse, abitazioni, migrazioni forzate e in altri ambiti”. Della nuova esortazione del Pontefice parliamo con il teologo Simone Morandini.

(Foto: Redazione)

La Laudate Deum presenta un’analisi molto puntuale sul cambiamento climatico…

Il Papa cita ampiamente – come evidenziato nelle note del testo – report molto autorevoli dal punto di vista scientifico. La fonte principale è l’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), promosso dalle Nazioni Unite, organismo che monitora le pubblicazioni scientifiche in materia di climatologia. Francesco attinge ampiamente ad esso, specie agli ultimi report usciti tra il 2022 e il 2023. Già qui ci sono due elementi di grande interesse.Il primo è la volontà, espressa a un livello inedito – anche superiore alla Laudato si’ – di attenersi allo stato dell’arte per quanto riguarda la comprensione scientifica di un fenomeno estremamente rilevante. Il secondo è la volontà di prendere esplicitamente posizione contro i negazionisti scientifici, che continuano a dire che il mutamento climatico non esiste, ma anche contro quei negazionisti di fatto, che, pur mostrandosi sensibili al problema, poi non intraprendono azioni concrete per opporsi a esso.C’è una doppia attenzione in questo senso e il Papa si esprime con molta forza in Laudate Deum.

Cosa l’ha colpita della Laudate Deum?

L’esortazione apostolica è un intervento autorevole in un dibattito che attraversa la comunità internazionale – non quella scientifica che ormai semplicemente consolida i propri argomenti e approfondisce temi -, ma solo quella politica. Ad essa si indirizza Francesco per chiamarla a un’attenzione e ad un’azione tempestiva e incisiva.Non è casuale che ben tre sezioni guardino alla politica internazionale, con la quinta che culmina in espliciti appelli indirizzati alla prossima Conferenza delle Parti di Dubai.

Un luogo che non promette bene per l’esito dei risultati della Cop…

Il Papa è stato delicato, dice che gli Emirati Arabi Uniti sono un Paese grande esportatore di energia fossile, anche se ha investito molto nell’energia rinnovabile.

Ma cosa possiamo aspettarci dalla Cop28? L’appello del Papa sarà raccolto in qualche modo?

Non faccio previsioni, ma ci si avvicina alla Cop28 in un clima non favorevole: al di là della localizzazione della Conferenza, le tensioni legate all’invasione russa in Ucraina hanno frammentato la comunità internazionale, che non è al momento propensa ad attivare dinamiche di collaborazione. Non si possono quindi avere a priori aspettative di alto livello; ricordo però che la stessa cosa si diceva pochi mesi prima della Cop21 di Parigi, alla quale fa riferimento anche la Laudate Deum. E sono in molti a testimoniare che i buoni risultati della Cop di Parigi sono anche il frutto dell’argomentazione morale e religiosa messa in campo da Papa Francesco nella Laudato si’, pubblicata alcuni mesi prima. Quindi aspettiamo a fasciarci la testa anche se le condizioni di partenza non sono favorevoli.

L’urgenza del problema e il richiamo fatto da Francesco possono avere un valore e orientare anche gli Stati più recalcitranti ad una maggior attenzione al tema.

Francesco parla di pungiglione etico.

Questa è una sfida che conosce ogni soggetto che non operi tramite il potere del denaro o il potere dell’influenza:l’appello non può che essere etico e abbiamo nella storia dell’umanità fasi in cui esso ha aiutato a cambiare, ha richiamato e invitato a prendere in considerazione altri fattori.Ad esempio, a proposito del bilanciamento tra posti di lavoro persi e guadagnati con uno spostamento verso l’energia verde, Francesco invita a non dimenticare che al momento quello che stiamo perdendo – e a velocità crescente – sono posti di lavoro e opportunità di vita a causa degli effetti del mutamento climatico che distrugge la natura, il mondo come lo conosciamo, rendendolo sempre meno abitabile per gli esseri umani.Abbiamo un pungiglione etico in cui l’altruismo si intreccia con l’egoismo intelligente, come richiamo a prendere in carico anche noi stessi, la nostra esistenza come famiglia umana. Davvero non solo i nostri figli, ma già noi stessi, che ormai tocchiamo con mano l’impatto del mutamento climatico sulle nostre vite.

Il Pontefice mette in guardia anche dal paradigma tecnocratico con l’idea di un essere umano senza limiti, la decadenza etica del potere, la politica internazionale debole, l’assenza di istituzioni e organizzazioni sovranazionali in grado di far rispettare gli impegni presi e di dirimere le controversie.

La critica alla tecnocrazia – non alla scienza o alla tecnica – era già forte in Laudato si’. Interessante l’accento forte posto sul multilateralismo nella sezione dedicata alla fragilità della politica internazionale. Un multilateralismo che vada al di là delle politiche prettamente orientate agli interessi nazionali che purtroppo vediamo in prevalenza in questi ultimi anni.Il primo elemento è ritornare a collaborare nel contesto di organizzazioni mondiali ben strutturate, senza trascurare la rilevanza della società civile che diventa pure un fattore importante. Papa Francesco sottolinea come essa diventi di fatto un’espressione del principio di sussidiarietà così caro alla Dottrina sociale della Chiesa, in un multilateralismo dal basso che coinvolga la responsabilità dei soggetti a vari livelli.

Tutto è collegato, nessuno si salva da solo, ricorda ancora una volta il Papa. È importante anche la conversione dei nostri stili di vita?

Ritengo che l’esortazione apostolica Laudate Deum vada sistematicamente letta avendo sullo sfondo l’enciclica Laudato si’, come suo presupposto anche rispetto alle categorie concettuali e agli orizzonti di riferimento. In Laudate Deum Francesco pone indubbiamente l’accento soprattutto sulle esigenze che toccano la politica internazionale, sulle responsabilità dei governi e delle organizzazioni sovranazionali nel prendere decisioni efficaci, urgenti e controllabili. Questo non significa che il Pontefice non sottolinei anche la responsabilità dei singoli, delle famiglie, delle comunità, in ordine a un rinnovamento degli stili di vita, a pratiche responsabili di consumo.

Contenere il mutamento climatico è una sfida così complessa che solo con una reale attivazione di una responsabilità a più livelli possiamo venirne fuori in modo efficace, salvando coloro che già ora ne stanno pagando le conseguenze.

Il Papa si rivolge ai fedeli cattolici e incoraggia anche i fratelli e le sorelle di altre religioni perché la fede autentica “illumina il rapporto con gli altri e i legami con tutto il creato”. Come sarà accolta a livello ecumenico e interreligioso la nuova esortazione?

È un testo che rispetto a Laudato si’ è più essenziale, si concentra soprattutto sull’istanza di etica socio-ambientale e dedica un’attenzione meno ampia al dialogo con altre comunità di fede, benché l’ultima sezione si apra con questo appello rivolto ai fratelli e alle sorelle di altre religioni ad approfondire le motivazioni che scaturiscono dalla loro fede così come è invitata a fare la comunità cattolica. Non è un testo esplicitamente orientato al dialogo come era Laudato si’ e come lo era, a maggior ragione, la Fratelli tutti. Questo è un testo di altra natura che presuppone quanto detto nelle due encicliche e lo rilancia sullo specifico versante del mutamento climatico. Era un testo comunque atteso;penso che susciterà un forte interesse e anche reazioni sintoniche da parte di altre comunità religiose.

C’è qualche aspetto particolarmente importante della Laudate Deum?

Sì, ci sono un paio di aspetti di rilevanza etica. Nella sezione sesta c’è uno sfondo spirituale che attinge direttamente alla Laudato si’ – è un testo pieno delle citazioni dell’enciclica – ma anche con un paio di idee nuove.Innanzitutto, l’idea di “antropocentrismo situato”, abbastanza inedita: da un lato si sottolinea il “valore peculiare e centrale dell’essere umano in mezzo al meraviglioso concerto di tutti gli esseri”, ma dall’altra si ricorda che “la vita umana è incomprensibile e insostenibile senza le altre creature”.È la ripresa del grande tema della Laudato si’ della famiglia universale, di una comunione sublime, di una interconnessione a livello globale; c’è, quindi, una sottolineatura della singolare responsabilità del soggetto umano ma, al contempo, del suo radicamento in quella rete relazionale in cui la creazione ci colloca.Un altro dato inedito è l’espressione, presa dalla pensatrice Donna Haraway, che parla di “zona di contatto”, per sottolineare come il mondo intero sia qualcosa tramite cui siamo uniti a tutte le creature, anche se il paradigma tecnocratico rischia di occultare la nostra percezione di tale realtà. C’è insomma anche un approfondimento di una antropologia ecologica in questo breve testo.

Breve, ma intenso…

Concordo: Laudate Deum è un piccolo testo, che esplora dimensioni che Laudato si’ accennava, mentre qui vengono focalizzate. Il cuore del testo è al numero 59, con questo invito “a far sì che la Cop28 diventi storica, che ci onori e ci nobiliti come esseri umani”:

c’è un richiamo a una dignità umana intesa come capacità di prendere in mano la nostra storia e orientarla a un futuro sostenibile, a un futuro abitabile, a un futuro che non sia pieno di vittime, i poveri sempre in prima luogo.

Per lavorare a un futuro sostenibile Papa si rivolge, come dicevamo, soprattutto al mondo politico e alle organizzazioni internazionali…

Sì, perché è un testo il cui target è la Cop28 di Dubai, che ha come attori principali i governi e le organizzazioni sovranazionali. Non dimentichiamo però l’ampia perorazione che faceva Francesco nella Laudato si’ per i piccoli gesti quotidiani che possono fare la differenza, con un elenco di dieci punti esemplificativi di buone pratiche ecologiche quotidiane. Là sottolineava pure che non è solo un operare individuale, ma sono azioni di bene che sono diffusive di se stesse, che moltiplicano la propria efficacia, quando si articolano in reti interpersonali e comunitarie. Non si deve leggere la Laudate Deum in isolamento dalla sua matrice di riferimento che è la Laudato si’.Vorrei però anche sottolineare che è di estremo rilievo che Francesco torni con un documento, sebbene non dello stesso livello, su una tematica che aveva affrontato pochi anni fa. È la chiara testimonianza che questa è un’armonica fondamentale del suo magistero.Non dimentichiamo che quando ha motivato la scelta del nome Francesco il Papa aveva evocato il Santo di Assisi come l’uomo della pace, l’uomo dell’amore per i poveri, l’uomo della custodia del creato. La volontà di tenere assieme queste tre dimensioni si è espressa in tanti testi e interventi: Laudato si’, adesso Laudate Deum, ma non dimentichiamo Querida Amazonia e anche i tanti messaggi inviati alle assise internazionali in cui i temi ambientali erano al centro. Sarebbe tempo, forse, di studiare in modo sistematico, complessivo, questo magistero ambientale di Francesco.

Il Papa è preoccupato dal fatto che non reagiamo di fronte alla crisi climatica…

Laudate Deum è anche questo: un appello in un mondo che sta andando a pezzi e rispetto al quale non ci stiamo preoccupando a sufficienza o non stiamo operando in modo sufficientemente incisivo.

Un appello fatto da un uomo che pur essendo avanti negli anni mantiene questa fortissima capacità di guardare avanti, questa lungimiranza che lo fa attento al futuro, alle sue splendide possibilità, ma anche alle minacce su di esso.

È uno sguardo vigilante, che intreccia la costante attenzione alla pace e alla qualità della vita umana con un’attenta percezione dello sfondo ambientale, planetario, globale in cui essa si realizza e si dispiega. Non a caso, accanto a Laudato si’ l’altro testo molto citato in Laudate Deum è Fratelli tutti; è interessante perché dopo l’enciclica sulla fratellanza c’è chi ha contrapposto le due encicliche: come se una fosse “verde” e l’altra antropocentrica. In Laudate Deum emerge con chiarezza che le esigenze della fraternità umana chiedono attenzione alla cura del creato e all’ascolto del grido della terra: il magistero sociale di Francesco è unitario e spiazza ogni tentativo di scoprirvi discontinuità o contrapposizioni.

SilvaCuore, l’app che monitora la salute delle foreste.Il Movimento Azzurro partner dell’applicazione per segnalare siti forestali in deperimento sviluppato dall’Università degli Studi di Basilicata.

Giovedì 27 luglio u.s. presso l’Università degli Studi di Basilicata si è svolto l’incontro di presentazione dell’applicazione SilvaCuore, uno strumento online creato allo scopo di segnalare potenziali siti forestali in deperimento presenti sul territorio italiano. Si rivolge sia ai professionisti del settore che agli appassionati che vogliano contribuire al monitoraggio della salute dei nostri boschi.Il Movimento Azzurro partner del programma SilvaCuore, ha preso parte all’incontro promosso dal Prof. Francesco Ripullione e dalla Dott.ssa Maria Castellaneta, responsabile del progetto, al fine di promuovere la conoscenza e l’utilizzo di questo importante strumento di tutela delle foreste.Un incontro molto proficuo nel quale il Prof. Ripullione ha esposto un resoconto sullo stato di salute delle foreste, in particolare nella fascia mediterranea, che negli ultimi decenni ha subito un notevole aumento di alberi in deperimento e mortalità, causate soprattutto dall’aumento della frequenza ed intensità di ondate di siccità e calore. In Basilicata sono in corso attività di ricerca, sui boschi nei Comuni di San Paolo Albanese, Gorgoglione e Policoro. In particolare il bosco di San Paolo Albanese, nel Parco Nazionale del Pollino, è oggetto di studio nell’ambito del progetto PON OT4CLIMA al fine di comprendere i fattori di stress che stanno mettendo a rischio la sopravvivenza del bosco stesso, mentre il “bosco Pantano” di Policoro è oggetto di indagine svolte dall’ Università degli Studi della Basilicata e dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, da cui è emerso come i pochi esemplari rimasti di farnia risultino caratterizzati da un notevole stato di sofferenza.Attualmente l’Università degli Studi di Basilicata è coinvolta nel progetto nazionale AGRITECH come gruppo di ricerca per i campionamenti di coppie piante sane e deperienti per cercare di avere delle informazioni dal punto di vista fenotipico e genotipico per l’individuazione di piante più resistenti al cambiamento climatico, così da prelevarne i semi  e dare origine a una discendenza di piante più resistenti.
Nella seconda parte dell’incontro, la Dott.ssa Maria Castellaneta, ha illustrato il progetto SilvaCuore. «Considerata l’importanza di avere maggiore contezza delle superfici interessate dal fenomeno a livello italiano, e vista la mancanza di un dato ufficiale, l’obiettivo era quello di creare un network per poter censire i siti forestali in deperimento, al fine di costruire una banca dati a livello nazionale. Creare una web-application che potesse coinvolgere una comunità attiva di utenti, che vogliano contribuire attivamente al monitoraggio della salute dei nostri boschi. Si tratta perciò di un progetto di Citizen Science che punta al coinvolgimento diretto dei cittadini, permettendo loro di divenire i veri protagonisti della ricerca scientifica». Questi i presupposti che hanno portato alla creazione di SilvaCuore, la prima applicazione realizzata in Italia per censire lo stato di salute dei boschi ma anche pianificare attività di ricerche e misure di gestione.  Grazie all’interfaccia user-friendly, SilvaCuore guida l’utente durante tutta la procedura di segnalazione. Applicazione che ha ottenuto il riconoscimento per giovani ricercatori e ricercatrici under 40, nell’ambito della Conferenza Internazionale “The Forest Factor” che si è tenuto a Roma il 6-7 giugno u.s. 
Al termine della presentazione è intervenuto il Presidente Nazionale del Movimento Azzurro, il Dott. Rocco Chiriaco che ha evidenziato come la mancanza di un’autorità forestale, imponga per senso etico, civile e morale, alle Associazioni di settore, come il M.A. e al comparto scientifico di ricerca, di offrire le competenze e il supporto,  per la tutela del patrimonio ambientale, considerata l’attuale congiuntura storico – climatica.

Nature Restoration Law del Parlamento Europeo

Nature Restoration Law del Parlamento Europeo

AMBIENTE IN DIRETTAVERSO IL FUTURO

Nature Restoration Law del Parlamento Europeo

In data 12 luglio 2023 il Parlamento Europeo ha approvato con 336 voti favorevoli, 300 contrari e 13 astenuti la legge per il ripristino della natura, un progetto mirato al ripristino della biodiversità e al recupero delle aree naturali gravemente compromesse.
Non è stato un percorso facile e non sono mancate le contrapposizioni di gruppi e parlamentari contro questo indispensabile ed improcrastinabile provvedimento.
La Nature Restoration Law è un provvedimento unico nel suo genere in tutta la storia della comunità europea. Per la prima volta avremo una legge con una funzione non solo protettiva, come avviene per le preziose direttive Uccelli e Habitat, ma proattiva, il cui principio è che proteggere la natura esistente è fondamentale ma non basta più: bisogna ripristinare quella perduta. Questo aiuterà a fermare il declino della biodiversità, ad affrontare la questione climatica così come ad avere un territorio più sicuro, città più verdi e accoglienti, servizi ecosistemici di maggiore qualità.
Chi potrebbe essere contrario a questi obiettivi, visto il degrado ambientale ed ecologico in cui ci siamo infilati?
Eppure nonostante questi straordinari benefici, l’Europarlamento ha dovuto superare un’opposizione anacronistica e scorretta, di una parte della politica e di alcune lobby contrarie ad ogni vera agenda ambientale, che ha usato argomenti fasulli e talvolta linguaggi inopportuni per fermare la legge. Il successo dell’approvazione lo si deve alla determinazione della Commissione europea e di una parte consistente delle forze politiche dell’Europarlamento ma anche alla mobilitazione civica senza precedenti che ha supportato la legge.
I giovani dei movimenti verdi (Greta Thunberg e altri avevano manifestato in sostegno della direttiva a Strasburgo e oggi l’attivista era presente fra il pubblico), ma anche 6000 scienziati europei, numerosi accademici e oltre 1 milione di cittadini avevano già firmato un appello per il “sì”.
Adesso con il tratto finale della legge, il negoziato del Trilogo (Commissione europea, Parlamento europeo e Consiglio dell’Ue) da cui uscirà il testo della legge, che gli Stati membri faranno proprio e attueranno, si aprirà una fase nuova, piena di speranza per la natura europea e una maggiore salute delle nostre società.
Tra l’altro, al di là delle ovvietà o dei sentimentalismi ecologici, ogni euro investito nel ripristino della natura, secondo gli studi della Commissione europea, produrrà un ritorno tra i 9 e i 38 euro sotto forma di servizi ecosistemici migliori, e questo è solo uno degli esempi di come questa legge può davvero cambiare in meglio la storia europea.
In estrema sintesi la legge prevede, con obiettivi vincolanti per gli stati membri, di ripristinare il 20% delle aree terrestri e marine in modo da fermare la perdita di biodiversità entro il 2030 con misure di ripristino della natura e successivamente estendere lo stesso concetto a tutti gli ecosistemi che necessitano di ripristino entro il 2050. Un obiettivo per garantire sicurezza alimentare, resilienza climatica e salute e benessere per popolazione, fauna e flora.
Fra i passaggi più importanti della Nature Restoration Law la volontà di ridurre pesticidi chimici del 50% entro il 2030, l’aumento delle aree protette, gli sforzi per salvare gli impollinatori, ma anche l’idea di garantire nessuna perdita di spazi verdi urbani entro il 2030 e programmare un aumento del 5% entro il 2050.
Ma non è tutto, tra gli altri provvedimenti vincolanti, è previsto “un minimo del 10% di copertura arborea in ogni città”, la riumidificazione delle torbiere prosciugate e che ci aiutano nell’assorbire carbonio, diverse azioni per l’aumento della biodiversità nei terreni agricoli, il ripristino degli habitat nei fondali marini o la rimozione delle barriere fluviali per liberare 25mila chilometri di fiumi in modo da prevenire disastri durante le alluvioni. Ogni stato membro dovrà sviluppare piani nazionali di ripristino con una precisa rendicontazione di quanto fatto.

Adesso, per usare un gergo calcistico, la palla passa ai Governi nazionali che dovranno recepire normativamente la Nature Restoration Law.
Purtroppo in Italia ci troviamo di fronte ad un panorama variegato, non solo dal punto di vista parlamentare ma anche per la presenza di Regioni a Statuto speciale o ad autonomia parziale.
La preoccupazione che, come al solito è lecita, è che, nel variegato panorama italiano e nella ancora scarsa coscienza e quindi sensibilità al problema, le dinamiche per il recepimento degli indirizzi dell’UE si perdano nei meandri di una politica poco attenta e consapevole della gravità del problema.
Basti pensare che in Italia, presso il Senato, è stata depositato il 15 giugno 2022 il Disegno di legge n. 2213, inerente “Disposizioni per il sostegno all’agroecologia e per la tutela del settore agricolo, forestale e rurale” ma che a tuttora è arenato nei meandri di una politica in tutt’altre faccende affaccendata.
Le cose vanno meglio in Sicilia che è invece divenuta la prima Regione europea ad essersi dotata di una legge sull’agroecologia (L.R. 21 del 29 luglio del 2021) inerente “Disposizioni in materia di agroecologia, di tutela della biodiversità e dei prodotti agricoli siciliani e di innovazione tecnologica in agricoltura. Norme in materia di concessioni demaniali marittime”.
Purtroppo, a tutt’oggi gli Assessori che si sono succeduti, dal momento dell’approvazione alla data odierna, non sono riusciti a mettere una firma sul Decreto Attuativo che è già stato ratificato dal competente tavolo del Dipartimento Agricoltura della Regione siciliana.
Se la Regione siciliana, applicasse la predetta L.R. 21 del 2021 (con l’approvazione del decreto) gran parte del lavoro della Nature Restoration Law del Parlamento Europeo sarebbe già fatto.
Basti pensare che se entro il 2030 solo il 10% delle aziende agricole assumesse l’impegno di convertirsi in sistema Agroecologico, avremmo risultati sorprendenti.
Ricordiamo qui che, secondo gli ultimi dati ISTAT, la SAU siciliana è di 1.387.521 Ha. Applicando solo gli obblighi di cui alla lettera a) del comma 3 della L.R. 21/2021 avremo i seguenti dati:
– 1.387.521 x 10% (aziende che aderiscono) x 10 % (superficie da impiantare) = 13.875,21 Ha di nuove superfici arboree. Ponendo un sesto forfetario di 5 metri in quadro avremo: 13.875,21 x 10.000 m2/25 = 138.752.100/25 = 5.550.084 di nuovi alberi (con specie autoctone).
A tal proposito si evidenzia come un albero adulto immagazzina circa 167 kg di CO2 all’anno, o 1 tonnellata di CO2 all’anno per 6 alberi adulti. Ciò significa che più di 33 alberi dovrebbero essere piantati ogni anno per compensare le emissioni di CO2 di un singolo cittadino.
Quindi se solo il 10 % delle aziende transitasse verso l’agroecologia, compenseremmo circa le emissioni di 166.000 cittadini siciliani.
Se l’agroecologia fosse applicata da tutte le aziende avremmo 55.000.000 di nuovi alberi, compensando le emissioni di oltre 1.600.000 abitanti della Sicilia. Dati incredibili.
Inoltre, sempre secondo il comma 3 della L.R. 21/2021, che prevede nelle aziende agricole una superficie minima del 5 % per specie vegetali impollinatrici, se solo il 10 % delle aziende transitasse verso l’agroecologia avremmo poco meno di 7.000 Ha di flora utile per gli impollinatori; una superficie pari alla dimensione media di un Comune siciliano.
La presenza, inoltre, delle specie e razze autoctone andrebbe a ripristinare degli habitat agricoli fortemente compromessi ed alterati.
Insomma la sola approvazione di un decreto, con tutti i vantaggi che darebbe alla transizione ecologica delle aziende agricole siciliane permetterebbe, oltre che alla velocizzazione delle strategie Farm to Fork e Biodiversità 2030 dell’UE anche l’applicazione della Nature Restoration Law del Parlamento Europeo.
La domanda a questo punto, come diceva un noto presentatore, sorge spontanea: riusciranno i nostri Governi a cavare il cosiddetto ragno dal buco (dando seguito all’applicazione delle varie norme) o dobbiamo pensare che è giunto il momento in cui le organizzazioni nazionali e siciliane (in questo caso) facciano fronte comune, come è avvenuto a Strasburgo, per spingere questa inerte locomotiva politica?
Io protendo per la seconda ipotesi, dobbiamo essere cittadini con una nuova coscienza politica, lasciandoci alle spalle le lamentele e spingendo verso il traguardo il treno della politica. È l’unico motore che può spingerlo.

Guido Bissanti

Nature Restoration Law del Parlamento Europeo: Momento storico (antropocene.it)

In difetto di una scelta fondamentale – Etica Economia Ecologia.

In difetto di una scelta fondamentale, che deve essere di natura etico-politica-culturale, gli sforzi sono condannati a disperdersi, a contraddirsi.

Non crediamo si debbano privilegiare i risultati economici nel valutare lo sviluppo della qualità della

vita. Non ci accontentiamo perciò di un’economia sospinta e bilanciata secondo le risorse materiali, compati­bile con la pura logica del profitto.

Siamo certi che “sviluppo sostenibile- sia quello che non contraddice lo sviluppo sociale, nella giusti­zia nel rispetto della realtà geografica e culturale e secondo equità. La nostra volontà sorretta dalla morale cristiana, non può non indirizzarsi verso questo difficile ma concreto obiettivo, il quale ha, per l’appunto, valenza ecumenica.

Concordo, quindi, con quanti affermano che dovrebbe attrarre di più la nostra attenzione l’impatto potenziale e reale dell’etica e dei valori sociali sui processi decisionali, che non l’impatto che la nostra civiltà ha sul mondo esterno.

Altri asserti a nostro avviso importanti riguardano la necessità di intendere la legge non secondo la deforma­zione odierna che ne fa minuziosi (e spesso non chiari) “regolamenti comportamentali”, ma come assunto etico dotato di “generalità e astrattezza” indicativo di un contenuto programmatico. in sostanza la vera legge è definizione di un perché non indicazione di “come” e di “quanto”. Sotto questo aspetto potremmo inputare al nostro apparato legislativo, in quanto mediocre filiazione a dei codici napoleonici, di essere più lontano dall’origine romana di quanto non sia l’apparato legislativo germanico, fondato sulla riflessione della filosofia del diritto, e, finalmente, quello britannico, il solo considerabile “romano” in cui neppure la costituzione ha un suo testo privilegiato. Giusto riconoscimento dei valori di tradizione e di libertà che fanno grande la legge.

Un simile modo, o se si preferisce un ritorno al grande modo romano originario, di concepire la legge è essenziale, a mio avviso, per stabilire un contesto etico-filosofico-politico aperto allo studio e all’inserimen­to delle “mete ultime della società umana …[a] un’interpretazione “teleologica” (finalista) o per “ultimas causas” come usavano dire gli scolastici.

La “comprensione” del problema ambiente viene prima della “soluzione” del problema inquinamen­to.

Le applicazioni, ad es. al caso di un fiume inquinato, delle concezioni finora chiarite sono altrettanto precise quanto la affermazione della mancanza di una “strategia sociale” della chiesa (a causa del prevalere della prassi sulla “doctrina” e dei limiti dell’orientamento antropocentrico tradizionale spesso responsabile di “un atteggiamento distruttivo dell’ambiente”). Sul piano della elaborazione teorica pesa negativamente il non aver voluto studiare in forma globale la “comprensione del problema mondo”. Si è dimenticato il Leibnitziano “scientia quo magis speculativa magis practica”.

Abbiamo di fronte i nefasti di una politica e di una economia degradate a pratica e questo vale anche per l’ecologia verdista, leghista, ambientalista, rimozionista (una rimozione estesa dal rifiuto al malato croni­co). Per queste vie si è rifiutata” l’etica della terra”.

L’uomo “sociale- è invece oggi quello che semte di fare parte consapevole di una “comunità di orga­nismi”. Occorre saldare processo cognitivo e processo educativo in una “significazione globale” se si vuole raggiungere l’intelligenza (intus legere) della realtà e consentire alle parti di convivere armonicamente in funzione dell’insieme.

LA CONFERENZA DI RIO.

A Rio si sono riuniti per quindici giorni, nel mese di giugno 1992, 170 capi di stato e di governo (molti, secondo machiavelli, che pone pari a quattordici il limite di una assemblea se si vuol pervenire a sagge decisioni) per discutere sullo stato del pianeta e concordare una strategia per la salvaguardia dell’ambiente globale. L’impresa era ambiziosa. Gran parte degli scopi previsti è stata mancata. soprattutto non si è riusciti a dimostrare che l’ambiente deve esser un protagonista dei negoziati internazionali, sul quale riversare, in chiave di compatibilità” e sviluppo sostenibile, i problemi della cooperazione fra nord e sud, fra paesi ricchi e quelli della compagine ex sovietica, oltre a quelli in via di sviluppo e ai più arretrati.

Tuttavia, la dichiarazione di Rio è un vero e proprio codice di condotta ambientale, ha infatti stabilito:

– l’uomo è al centro dello sviluppo sostenibile;

– gli stati hanno sovranità sullo sfruttamento delle proprie risorse e non devono causare danni all’ambiente dei paesi confinanti;

– l’eliminazione della povertà è il primo requisito per il raggiungimento dello sviluppo sostenibile;

– debbono essere ridotti e portati a graduale eliminazione i processi produttivi antiecologici;

– deve essere migliorata la ricerca delle tecnologie pulite;

– devono essere perfezionate le politiche demografiche.

Manca, purtroppo, un progetto gnoseologico ed etico ma va sottolineata l’importanza della cosiddetta “agenda 21”, la quale costituisce il primo master plan dell’ambiente globale. A essa dovrà riferirsi ogni futuro trattato in materia ambientale.

“L’agenda 21” contiene le linee guida per la tutela delle acque interne e degli oceani, dell’atmosfera, del suolo, delle foreste; per lo smaltimento dei rifiuti; per il trasferimento delle tecnologie di produzione com­patibili fra le aree privilegiate del mondo e le arretrate; per il finanziamento dei progetti ambientali.

Gli altri due strumenti approvati a Rio sono la convenzione sul clima e la convenzione sulla biodiversità.

La prima indica l’obiettivo della stabilizzazione e riduzione delle emissioni di anidride carbonica e de­gli altri gas a effetto serra. La medesima convenzione legittima la decisione della Cee di stabilizzare le proprie emissioni di CO2 entro il 2000, ai livelli del 1990. L’importanza della convenzione sulla biodiversità sta nello stabilire, per la prima volta, il dovere di salvaguardare la complessità delle specie viventi fissando criteri per lo sfruttamento del patrimonio genetico e biologico a fini industriali. La sua efficacia è stata però indebolita dal rifiuto del presidente americano di firmarla.

È noto che l’attuale ministro italiano dell’ambiente, non andò a Rio, in qualità di commissario Cee al­l’ambiente, dichiarando che “optando per l’ipocrisia non si salverà la terra”. il nostro ministro rilevava infatti che a Rio era aperta la porta alle illusioni di salvaguardare lo sviluppo pur senza ridurre i consumi e gli sprechi energetici; che in particolare l’atteggiamento degli Usa è basato sul mantenimento di uno stile di vita contrario alle esigenze di uno sviluppo sostenibile, in quanto richiede un eccessivo dispendio energetico. “Noi, invece – egli ha dichiarato in quell’occasione – siamo convinti che la crescita economica costante, la difesa dell’occu­pazione, non siano affatto incompatibili con la protezione dell’ambiente; anzi, soltanto in questo modo sarà possibile colmare il divario fra nord e sud”.

Un’ultima riflessione spinge a sottolineare il peso che ha, in materia di protezione ambientale e di sviluppo durevole o sostenibile, la responsabilità individuale, ossia di ognuno di noi singolarmente preso.

Non vi è dubbio che piani e strategie spettino agli stati; che l’opera di indirizzo e promozione tocchi alle più diverse forme associative; e che, in questa particolare ottica, si debbano promuovere le attività di volontariato e le azioni di coordinamento, che sono appunto una delle dominanti del nostro movimento. ed è altrettanto certo che il popolo dell’abbondanza è moralmente tenuto a fare cambiamenti nello stile di vita; al­trimenti, quello sviluppo economico che molti chiamano globale. Sottintendendo che deve essere program­mato. Non avrà nulla a che fare con l’attuazione della giustizia e quindi non sarà, compatibile con la finalità generale del comunicare e del partecipare risorse e servizi.

Ridurre le iniquità attuali, garantire il diritto allo sviluppo e, contemporaneamente, all’ambiente sano, è una questione di determinazione morale. Dobbiamo riordinare la società perché l’unica famiglia umana pos­sa perseguire il bene comune. Per questo dobbiamo cominciare, ognuno dall’interno della nostra coscienza morale, a ripensare gli stili di vita. I problemi sembrano troppo grandi perché un individuo li affronti da solo; ma in realtà sappiamo che è possibile cambiare, cominciando dalla singola persona umana e dalle scelte che essa compie. Occorre respingere le scelte condizionate da bisogni creati artificialmente e promossi da inte­ressi commerciali o dai mezzi di comunicazione di massa.

Il concetto di sviluppo sostenibile non va impiegato per giustificare ogni sorta di progettualità sociale ed   economica, creando scenari futuri che hanno assai poco di credibile e di scientifico.

Esistono, l’ho abbiamo già accennato, obiettivi concreti e degni di esser presi in considerazione dai singoli, benché, poi, non possiamo -essere raggiunti senza scelte politiche fondamentali o che impegnino la respon­sabilità delle classi dirigenti di ogni Paese, avanzato o no.

Individuare alcuni di questi scopi, da far valere nell’immediato, risponde a un imperativo etico preciso: anzi, si fa morale ambientale sul serio unicamente individuando i temi dell’operatività anche globale e gnoseo­logica, da mettere in conto a tutti, fin da questo preciso momento.

In questa sede mi limiterò a qualche esempio, puntando su cose evidenti, che non esigono particolari

giustificazioni e spiegazioni.

Vale il principio “chi inquina paga”; si può quindi volere che l’attuale fase di negoziazione dell’accor­do internazionale Gatt sugli scambi commerciali, includa la valutazione dell’impatto ambientale.

Si deve pretendere che le industrie e aziende multinazionali adottino standard ambientali globali.

Bisogna adottare, in accordo con il settore privato, piani nazionali per il trasferimento di tecnologie.

Si deve pretendere l’estensione capillare dei rilevamenti, o monitoraggi, delle principali variazioni de­gli ecosistemi. a mio avviso, tanto un’area urbana, quanto una soggetta a desertificazione, deve essere tenuta

costantemente sotto controllo, poiché gli interventi di salvaguardia, contenimento e sviluppo, integrabili tra loro, come già detto, non possono partire che dalla conoscenza diretta e in tempo reale dei fattori di cambia­mento.

Non posso che rivolgere ancora per un momento lo sguardo ai risultati delia conferenza di Rio.

Essi ap­paiono deludenti se presi in esame settorialmente; ma nell’insieme il summit della terra, ha fatto acquisire agli stati e agli operatori economici che non può esservi sviluppo senza protezione ambientale, e che non avranno successo economico le imprese che non faranno dell’ecologia uno dei pilastri delle loro strategie.

Pertanto, Rio deve essere considerata come il punto di partenza per una nuova etica, che impegni per un di più di solidarietà, sia dei popoli tra di loro, sia fra uomini e natura. tale solidarietà va articolata rispettan­do le diversità culturali e le tradizioni locali, anche se i principi di fondo da individuare e da rispettare debbono essere il più possibile comuni, universali.

Oltre venti anni fa, alla conferenza di Stoccolma, si andò ripetendo che solamente un’azione collettiva, strategica­mente orientata, avrebbe potuto contrastare il degrado ambientale, visto come minaccia diretta dello sviluppo economico e culturale. Nei tempi più recenti, finita la guerra fredda e diminuite le spese militari, cresciuto il numero dei governi ispirati a democrazia, ci siamo trovati anche a riaffermare i diritti dell’uomo mentre il libero mercato avanza nel mondo. Purtroppo attualmente tale scenario è venuto meno a causa del conflitto Russo-Ucraino, provocato dall’aggressore sovietico e che interessa tutto il mondo. Sembra quindi venuto il momento di far valere un nuovo accordo mondiale, un concreto “contratto sociale” a favore della Pace e dello sviluppo, incentrato sui valori della persona e della umanità tutta.

Non basta, “rispettare” l’ambiente: ogni conservazione va attuata in una prospettiva di trasformazione tenendo conto che i problemi che siamo chiamati a risolvere non sono meramente materiali. al tempo stesso, in un mondo divenuto in pochi decenni molto più piccolo, nel quale l’informazione, sia generica che specia­listica, si moltiplica di ora in ora, si vanno modificando i ruoli dello stato e dei suoi corpi intermedi, mentre invecchiamo rapidamente le forme della cooperazione internazionale fin qui praticate.

Fa parte altresì dei nostri obblighi morali l’attenzione a tutti gli effetti, nessuno escluso, dell’avan­zamento scientifico e tecnologico; anzi incombe l’obbligo di non disancorare la ricerca naturale dalle finalità dell’uomo. Tanto più che la società dei consumi procede senza che la logica del mercato e dei profitti sia

canalizzata verso scopi in armonia con i contenuti della fede.

La enciclica “Centesimus Annus” ci invita a considerare che mai più di adesso la dimensione etica e spiritua­le deve trasfigurare l’ordine politico ed economico, se si vuole ottenere uno sviluppo autentico, cioè quello che rifiuta la disoccupazione e la miseria come strutture del benessere altrui, che si oppone alla riduzione dei meccanismi di protezione sociale, che denuncia la diseducante urbanizzazione selvaggia e lo spreco delle risorse non rinnovabili.

Il Dissesto Idrogeologico

Il Movimento Azzurro si è proposto sulla scena del mondo ambientalista ormai da un trentennio, fondato dall’onorevole Gianfranco Merli, sincero democratico e cattolico impegnato in politica,  professore e  studioso molto serio ed avveduto,  proprio per porsi con un modo nuovo di fare politica per la tutela ambientale  praticare ambientalismo vero.

Da ambientalisti di morale cristiana ci siamo voluti porre sullo scenario dell’ecologismo italiano, come movimento di proposta, un movimento che non sfugge anche alla critica o alla polemica quando queste siano opportune per evidenziare guasti, ma che non cerca la ribalta della cronaca esclusivamente per condannare. Stiamo purtroppo assistendo a questo modo inconsulto di fare ambientalismo ormai da troppi anni, le scene della ribalta sono aperte solo per poche organizzazioni che ormai si sono tramutate in tutt’altro che associazioni di volontariato.

Le cifre riguardanti i fenomeni di dissesto idrogeologico nel nostro Paese, rappresentate nel tempo dal Dipartimento della Protezione Civile, sono relative agli ultimi ottant’anni, ma sono state presentate sul finire dell’attività del Dipartimento della Protezione Civile alla Camera; esse ci parlano di oltre 5.400 alluvioni  e 11 mila frane ed indicano il rischio idrogeologico secondo solo a quello sismico tra i rischi naturali che affliggono il nostro Paese.

Un altro dato è certo: negli ultimi venti anni i problemi del dissesto idrogeologico si sono aggravati causando danni per oltre 30 mila miliardi e centinaia di vittime.

Le cause sono state enunciate numerose volte da esperti e da rappresentanti del mondo ambientalista.

Non è un caso che il fenomeno del dissesto idrogeologico si sia aggravato negli ultimi venti anni, tale è infatti il tempo sopravvenuto all’abbandono da parte dello Stato delle politiche per il territorio e dell’azione di manutenzione dello stesso attraverso la diretta realizzazione di opere di difesa idraulica. Durante gli anni 70 dello scorso secolo, lo Stato ha delegato parte dei propri compiti alle Regioni, dapprima con il DPR 11 del 1972, poi con la grossa delega del DPR 616 nel 1977.

Contestualmente a questo trasferimento di competenze è venuta meno la politica nazionale e l’interesse verso la tutela del territorio in Italia, così come sono venute meno la politica forestale e la politica regionale in agricoltura. Negli ultimi anni si è proceduto solo a cambiare le denominazioni dei Ministeri e delle competenze ad essi conferite. Il Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste, una volta Ministero di primaria importanza economica,  è divenuto prima Ministero delle risorse agricole e forestali, materie queste devolute alle Regioni, poi altre modifiche ad ogni cambio di governo, fino ad arrivare all’attuale Ministero dell’Agricoltura e della “Sovranità alimentare”?? le Foreste sono scomparse dalla intestazione ministeriale e non si comprende se vi sia un raccordo sulla materia tra le attuali “competenze delle Regioni” e quelle dello Stato, che a questo punto non ne ha più, non ravvisandosi alcun riferimento al patrimonio forestale italiano in alcuno dei dipartimenti ministeriali.

Questa politica forestale risulta in perfetta continuità con quella del governo Renzi che nel 2016 riuscì a sopprimere il Corpo Forestale dello Stato, una benemerita Amministrazione Statale che ha operato negli scorsi due secoli, per la tutela e salvaguardia del patrimonio forestale italiano e la difesa del suolo attraverso la realizzazione di opere ingegneristiche tese alla conservazione, tutela e miglioramento della rete idraulico-forestale del Paese.

Tale sciagurata opzione, ha costituito la spallata finale per il totale abbandono del presidio istituzionale, nei secoli scorsi, posto a salvaguardia del territorio italiano attraverso le circa milleduecento Stazioni Forestali, esistenti sul territorio italiano.

Ci vogliono livelli di responsabilità differiti e non basta che i Ministeri centrali preposti a queste materie esercitino un coordinamento, che per altro è contestato, come nel caso dell’agricoltura, dalle Regioni, ma è necessario che lo Stato, attraverso il Parlamento, si riappropri della politica di indirizzo nazionale in materia di difesa del suolo, così come in materia forestale.

L’ambiente e il territorio, che è parte costitutiva di esso, non hanno confini amministrativi, non si possono proporre politiche ambientali per confini amministrativi; i bacini idrici, per esempio, non sempre coincidono con i limiti territoriali di un ente locale e la legge 183 del 1989, pur necessitando di un’ulteriore revisione, non trova oggi ancora definitiva applicazione. La radiografia del nostro Paese fornisce un quadro assolutamente allarmante, sia per il numero di avversità climatiche, che è stato ricordato, sia per la loro distribuzione sul territorio.

L’Italia risulta periodicamente colpita ed in misura crescente da alluvioni, inondazioni, straripamenti, frane e smottamenti, da eventi cioè che dimostrano il degrado ambientale e non solo del territorio medesimo, la sua fragilità ed insieme l’assenza di difese adeguate. Le indagini del servizio geologico nazionale hanno evidenziato che sono a rischio idrogeologico ben 4 mila e 600 Comuni, circa il 65% del territorio nazionale.       

In Italia il numero dei Comuni che negli anni tra l’ultimo decennio del 1900 ed il primo degli anni 2000  la frequenza delle frane e delle alluvioni è stata sempre maggiore, sono stati ben 1.500 i Comuni colpiti da alluvioni e più di 2.000 quelli che hanno subito danni, spesso molto ingenti, a causa di frane e di smottamenti.

I risultati prodotti fino ad oggi dalla legge 183 sulla difesa del suolo non sono da considerarsi soddisfacenti. La Commissione parlamentare Ambiente e Territorio, dove noi abbiamo anche riferito il nostro parere nell’indagine conoscitiva sul dissesto del territorio italiano, dice che l’analisi dello stato della pianificazione degli interventi, la disponibilità di risorse tecnico-scientifiche e di adeguati finanziamenti evidenziano le difficoltà di conseguire gli obiettivi, a suo tempo previsti, di prevenzione dai rischi alluvionali e di risanamento dal degrado di ampia parte del territorio nazionale.

Inoltre, l’impianto istituzionale della 183 risulta ampiamente disatteso, soprattutto in alcune zone del Paese e nessun piano di bacino, che è l’atto più significativo ed importante di programmazione dell’azione e degli interventi, è stato finora formulato in maniera completa. D’altronde il fatto che le norme vengono puntualmente tradotte in progetti ed atti efficaci dipende anche dalla conoscenza dei parametri fisici del territorio e dei fenomeni idrologici. Ugualmente dipende dalla tempestiva conoscenza degli stessi parametri la possibilità di evitare circostanze atmosferiche eccezionali e che queste circostanze atmosferiche si traducano in brutale distruzione di vite umane. 

Permane tuttora un grosso disordine, cioè una sovrapposizione nelle reti di monitoraggio dello Stato e delle Regioni, così come nei servizi cartografici che sono molte volte indipendenti tra di loro, pure nella possibilità che oggi le moderne tecnologie ci consentano di effettuare con trasparenza una interconnessione.

Tale situazione contribuisce alla totale mancanza di pianificazione degli interventi di difesa del suolo e ad un caos della programmazione economico-finanziaria da parte delle Regioni. Di tutte le opere di sistemazione idraulica realizzate fino agli inizi degli anni 70 pochissime hanno ricevuto regolari interventi di manutenzione, l’incuria ed il tempo hanno ad oggi vanificato l’esistenza di molte di esse.

Le cronache di questi giorni, come quelle degli anni scorsi, ci hanno indicato anche quanti miliardi si spendono normalmente in Italia per i soli interventi urgenti di risistemazione territoriale. Prevenzione, quindi, conviene anche in termini economici.

La prevenzione, come abbiamo visto, richiede investimenti, quindi spesa ed occupazione. E’ però una spesa che si può e si deve preventivare insieme alla pianificazione degli interventi. Bisogna affermare la necessità di una svolta seria e definitiva rispetto ad un atteggiamento del “tirare a campare” fino alla prossima frana; bisogna che lo Stato imponga da subito una seria direttiva per il monitoraggio del territorio.

Allora l’appello che vuole scaturire da questo convegno è rivolto alla classe politica perché affronti in maniera seria e definitiva il nodo delle competenze in materia di tutela e pianificazione dell’uso del territorio, anche se necessario nell’ambito delle riforme istituzionali, in modo da dare certezza ad un intervento che veda la responsabilità e l’indirizzo politico in testa allo Stato, come per altro avviene in altre nazioni europee, quali la Francia che nell’ambito dell’Unione Europea rappresenta, a nostro avviso, il migliore modello di Protezione Civile, ma anche di organizzazione statale in materia di politiche territoriali.

Questo modello naturalmente deve vedere l’ampio coinvolgimento delle Province in primo luogo e dei Consigli Regionali, deve salvaguardare la potestà programmatoria delle Regioni in riferimento alla spesa ed agli interventi, deve spingere il federalismo al pieno coinvolgimento delle autonomie locali con in primo luogo i Comuni per la realizzazione degli interventi e per il controllo del territorio in funzione previsionale e di prevenzione del danno.

Un appello è rivolto anche alla società civile e alle organizzazioni che la rappresentano. Serve, essere continuamente propositivi, mettere a disposizione le proprie competenze e vigilare come società civile sul fatto che si dia un seguito agli impegni assunti a vari livelli istituzionali, per migliorare organicamente l’organizzazione e la protezione territoriale in Italia, altrimenti iniziative come questa che stiamo svolgendo rimarranno fini a se stesse, improduttive ed allora sarà una sconfitta per tutti noi, non solo per gli sfortunati di turno che saranno coinvolti nel prossimo dissesto idrogeologico.

                                                                                                  Rocco Chiriaco

                                                                                   Presidente Nazionale Movimento Azzurro

La Coalizione Articolo 9 in pressing sul Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin sul DL accelerazione PNRR e Pianificazione aree idonee FER

La Associazioni della #CoalizioneArticolo9, che si adoperano affinché la diffusione nel nostro Paese degli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili abbia luogo arrecando il minor danno possibile all’ambiente, alla biodiversità ed al paesaggio, chiedono un incontro con il Ministro Gilberto Pichetto Fratin per affrontare il nodo della pianificazione delle aree idonee e della semplificazione dei procedimenti autorizzativi.

Fino ad oggi, la realizzazione degli impianti eolici e fotovoltaici nel nostro Paese è avvenuta in assenza di qualsiasi pianificazione sul territorio. La loro ubicazione è stata di fatto lasciata alla libera scelta degli operatori del settore delle rinnovabili, anziché pianificata, come invece previsto dal Decreto legislativo di recepimento della Direttiva 2018/2001/UE (c.d. RED II). Quest’ultimo infatti, prevede l’individuazione delle aree idonee e non idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili, nel rispetto delle esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, delle aree agricole e forestali …. nonché delle specifiche competenze dei Ministeri dei beni culturali e dell’ambiente, privilegiando l’utilizzo di superfici di strutture edificate e aree non utilizzabili per altri scopi… compatibilmente con la disponibilità di risorse rinnovabili. Il Tale Decreto legislativo di recepimento, entrato in vigore il 15 dicembre 2021, anziché stabilire i criteri con i quali individuare le aree, rinviava tale fondamentale adempimento ad un successivo D.M. entro il 15 giugno 2022. Ad oltre un anno, il Ministero dell’Ambiente temporeggia e del D.M. non vi è traccia, malgrado gli annunci. Altrettanto urgente è l’attuazione del Regolamento europeo sull’accelerazione delle rinnovabili (in vigore il 1 gennaio 2023), con l’individuazione di “aree di riferimento” in cui realizzare gli impianti con le cautele ambientali e paesaggistiche in esso previste.

Ulteriore preoccupazione desta il fatto che il Governo si accinga a presentare un ponderoso D.L. per l’accelerazione delle procedure del PNRR.  Da quanto risulta dalle bozze circolate in questi giorni, tale strumento si concentra sulla stesura di farraginose disposizioni “semplificative” che, disattendendo ogni motivazione di carattere tecnico e culturale, puntano ad un’accelerazione “a tutti i costi”.Inoltre, nulla è dato riscontrare in esso riguardo all’obbligo di rispettare la clausola del “non arreca danno significativo”, imprescindibile per tutti gli interventi finanziati dal PNRR.

Un punto di equilibrio realmente sostenibile tra lotta al cambiamento climatico ed alla crisi energetica e tutela dell’ambiente, della biodiversità e del paesaggio si può trovare solo coinvolgendo tutto il mondo dell’ambientalismo italiano nell’elaborazione delle politiche e dando ascolto ai territori dove insistono gli impianti di produzione da FER.

Per la #CoalizioneArt. 9

Antonella Caroli, Presidente Italia Nostra

Aldo Verner, Presidente LIPU

Aldo Giorgio Salvatori, Presidente AIW – Associazione Italiana per la Wilderness

Adriana Giuliobello, Presidente Mountain Wilderness Italia

Carla Rocchi, Presidente Ente Nazionale Protezione Animali

Stefano Allavena, Presidente Altura

Rita Paris, Presidente Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli

Stefano Deliperi, Presidente Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)

Gianluigi Ciamarra, Referente CNP – Comitato Nazionale del Paesaggio

Massimo Livadiotti, Presidente Associazione Respiro Verde Legalberi

Maria Pia Guermandi – Coordinatrice Emergenza Cultura

Monica Tommasi, Presidente Amici della Terra

Donata Pacces, Presidente AssoTuscania

Franco Tassi, Coordinatore Centro Parchi Internazionale

Gino Scarsi, Presidente Associazione ‘Comitato Salviamo il Paesaggio – Difendiamo i Territori’

Alessandro Mortarino, Referente Forum Nazionale ‘Salviamo il Paesaggio – Difendiamo i Territori’

Renato Narciso, Segretario Generale L’Altritalia Ambiente

Rocco Chiriaco, Presidente del Movimento Azzurro

Dante Fasciolo, Presidente dell’Accademia Movimento Azzurro

CTCM Liberi Crinali – Comitato per la Tutela del Crinale Mugellano

Michele Boato, Presidente Ecoistituto del Veneto Alex langer

Vittorio Emiliani, Presidente Comitato per la Bellezza

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