Monitoraggio della contaminazione ambientale costiera nel litorale settentrionale del Golfo di Catania, tramite l’uso della specie bioindicatrice Mytilus galloprovincialis.

Monitoraggio della contaminazione ambientale costiera nel litorale settentrionale del Golfo di Catania, tramite l’uso della specie bioindicatrice Mytilus galloprovincialis.

1.0 Introduzione

I sistemi semi-chiusi delle aree marine costiere, specialmente le baie, i golfi, gli estuari e le lagune sono particolarmente sensibili alla contaminazione ambientale, soprattutto quella proveniente principalmente dalla costa a causa delle attività umane. Tali aree vengono generalmente indicate come “hotspots”, o punti caldi, e sono associate ad aree altamente urbanizzate o industrializzate (DEQ, 1998; WHO, 2012). Nelle aree così caratterizzate, un regolare monitoraggio ambientale tramite l’uso di specie bioindicatrici fornisce informazioni importanti per la comprensione delle risposte biologiche degli organismi.

I molluschi sono noti per essere ottimi bioindicatori della qualità ambientale in quanto non possiedono i meccanismi biochimici o fisiologici in grado di regolare le concentrazioni tissutali dei contaminanti. In questo modo, l’organismo scelto ha la capacità di concentrare le sostanze chimiche nei propri tessuti in maniera proporzionale al loro livello ambientale, ed in particolare i molluschi bivalvi essendo organismi sedentari e filtratori, concentrano i contaminanti ambientali dal sedimento, dal particolato sospeso e dalla colonna d’acqua (Laffon et al., 2006). Il monitoraggio mediante gli organismi filtratori fornisce quindi indicazioni alternative, o meglio complementari, a quelle dei sedimenti, soprattutto relativamente alla contaminazione della colonna d’acqua, rispetto alla quale i bioaccumulatori possono presentare concentrazioni superiori (Carro et al., 2004). Inoltre, l’analisi dei tessuti dei bivalvi consente di valutare la frazione biodisponibile dell’inquinante (Baumard et al.,1999).

Tramite il Mussel Watch Project negli USA (Farrington et al., 1983) sono stati sviluppati i primi piani di monitoraggio usando mitili per valutare gli andamenti nello spazio e nel tempo delle concentrazioni dei contaminanti nelle regioni di costa ed estuarine. Ad oggi il vasto impiego dei mitili in campagne di biomonitoraggio è dovuto alla loro resistenza, alla facilità di recupero e di impiego per gli esperimenti di biomonitoraggio (Nasci et al., 2002) e alla loro larga diffusione nella maggior parte delle zone costiere del mondo (Ortiz-Zarragoitia e Cajaraville, 2006).

Obiettivo del nostro studio è stato quello di valutare il bioaccumulo di elementi in tracce in campioni di Mytilus galloprovincialis traslocati per periodi di 4 settimane in prossimità di aree portuali del litorale settentrionale del Golfo di Catania.

1.1 I Metalli

La contaminazione da metalli pesanti da tempo è sempre al centro dell’attenzione in tutto il mondo in generale e nei paesi in via di sviluppo in particolare.

Le molteplici applicazioni industriali, domestiche, agricole, mediche e tecnologiche di questi metalli hanno portato alla loro ampia distribuzione nell’ambiente, sollevando preoccupazioni sui loro potenziali effetti sulla salute umana, anche attraverso l’approvvigionamento alimentare, e sull’ambiente. La loro tossicità dipende da diversi fattori, tra cui la dose, la via di esposizione, le specie chimiche coinvolte, così come l’età, il sesso, la genetica, e lo stato nutrizionale degli individui esposti (Tchounwou et al., 2014)

Il termine “metalli pesanti” si riferisce a qualsiasi elemento metallico che ha una densità relativamente elevata e che risulta essere tossico anche a bassa concentrazione.

In particolare questo termine collettivo si applica al gruppo di metalli e metalloidi in cui si possono riscontrare le seguenti caratteristiche:

– densità superiore ai 5,0 g/cm3

– si comportano in genere come cationi

– bassa solubilità dei loro idrati

– spiccata attitudine a formare complessi

– affinità verso i solfuri (da metalli pesanti e intossicazioni)

Tra i metalli pesanti distinguiamo:

-Metalli essenziali, così chiamati perché esercitano funzioni biochimiche e fisiologiche nelle piante e negli animali. Essi sono importanti costituenti di diversi enzimi chiave e svolgono un ruolo importante in varie reazioni di ossido-riduzione; a questi appartengono il cobalto (Co), il rame (Cu), il cromo (Cr), il ferro (Fe), il magnesio (Mg), il manganese (Mn), il molibdeno (Mo), il nichel (Ni), il selenio (Se) e lo zinco (Zn);

-Metalli non essenziali, che non ricoprono funzioni biologiche elaborate e comprendono alluminio(Al), antinomia (Sb), arsenico (As), bario (Ba), berillio (Be), di bismuto (Bi), cadmio (Cd), gallio(Ga), germanio (Ge), oro (Au), indio (In), piombo (Pb), litio (Li), mercurio (Hg), nichel (Ni),platino (Pt), argento (Ag), stronzio (Sr), tellurio (Te), tallio (Tl), stagno (Sn), titanio (Ti), vanadio(V) e uranio (U) (Tchounwou et al., 2014).

Sebbene dunque alcuni di questi siano essenziali per il metabolismo, diventano tossici quando superano una certa concentrazione citoplasmatica. Le cellule sono in grado di percepire i cambiamenti nelle concentrazioni citoplasmatiche dei metalli e di coordinare l’espressione dei geni che sono coinvolti nell’assorbimento, nella distribuzione, nel sequestro e nell’utilizzo dei metalli. Gli effetti biotossici di molti di loro in biochimica umana sono di grande preoccupazione, vi è quindi la necessità di comprendere i corretti parametri, le concentrazioni e gli stati di ossidazione, che li rendono nocivi e il meccanismo attraverso cui si realizza la biotossicità.

E’ anche importante conoscere le loro fonti, le conversioni chimiche e le modalità di deposizione che derivano dall’inquinamento ambientale.

L’esame della letteratura inerente ci consente di comprendere che questi metalli vengono rilasciati nell’ambiente da processi naturali, dal momento che alcuni di questi sono costituenti della crosta terrestre e contaminano l’ambiente in

maniera persistente poiché non possono essere degradati o distrutti, e da fonti antropiche, in particolare dalle attività estrattive, industriali e dagli scarichi di automobili.

Attraverso i fiumi e i corsi d’acqua, i metalli vengono trasportati sia come specie disciolte in acqua (queste hanno un potenziale maggiore di causare effetti deleteri), sia come parte integrante dei sedimenti in sospensione contaminando in tal modo l’acqua proveniente da sorgenti sotterranee, in particolare dai pozzi. L’avvelenamento e la tossicità negli animali si verificano di frequente attraverso meccanismi di scambio. I metalli pesanti, una volta ingeriti, si combinano con le biomolecole del corpo, come le proteine e gli enzimi per formare composti biotossici stabili, mutando in tal modo le loro strutture ed ostruendo i normali processi fisiologici (Morais et al., 2012).

Nei sistemi biologici, i metalli pesanti sono in grado di influenzare organelli e componenti come la membrana cellulare, mitocondriale, i lisosomi, il reticolo endoplasmatico, il nucleo e alcuni enzimi coinvolti nel metabolismo e nella riparazione di danni cellulari. Gli ioni metallici inoltre interagiscono con componenti cellulari come DNA e proteine nucleari, causando danni al DNA stesso e cambiamenti conformazionali che possono portare a modificazioni del ciclo cellulare, a carcinogenesi e apoptosi (Tchounwou et al., 2014). In particolare i gruppi sulfidrici (SH), normalmente presenti negli enzimi che controllano la velocità delle reazioni metaboliche nel corpo umano, si legano facilmente ai metalli pesanti, costituendo un complesso metallo-zolfo che interessa tutto l’enzima il quale non può quindi funzionare normalmente, perdendo la propria funzionalità di catalizzatore.

Nell’uomo l’eliminazione di tali metalli avviene solo in minima parte (per salivazione, traspirazione, allattamento), causandone il bioaccumulo. I residui si accumulano negli esseri viventi ogni volta che sono assimilati ed immagazzinati più velocemente di quanto sono metabolizzati o espulsi. I metalli si concentrano in particolare in alcuni organi, danneggiandoli, come cervello, fegato, reni e nelle ossa, costituendo spesso un fattore aggravante o determinante in numerose malattie croniche. I bambini sono i soggetti più a rischio da esposizione al piombo, al mercurio e agli altri agenti tossici, poiché per unità di peso, mangiano, bevono e respirano tre-quattro volte più degli adulti. Considerando inoltre che la linea di demarcazione fra carenza alimentare di tali sostanze e tossicità è molto sottile, risulta evidente quanto sia importante conoscere la presenza e l’utilizzo di tali elementi nella vita quotidiana (Prasad et al., 2005).

Diversi studi hanno dimostrato che le specie reattive dell’ossigeno (ROS) e lo stress ossidativo giocano un ruolo chiave nella tossicità e cancerogenicità di metalli come arsenico, cadmio, cromo, piombo e mercurio. A causa del loro elevato grado di tossicità, questi cinque elementi si collocano tra i metalli con priorità maggiore per la sanità pubblica.

Secondo l’Agenzia statunitense per la protezione ambientale (EPA), e l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), questi metalli sono anche classificati come “conosciuti” o “probabili” cancerogeni per l’uomo sulla base di studi epidemiologici e sperimentali che mostrano un’associazione tra l’esposizione e l’incidenza del cancro negli esseri umani e negli animali (Tchounwou et al., 2014).

2.0 Materiali e Metodi

2.1 Area di studio

Il Golfo di Catania si estende per un’area di circa 300 Km² ed è geograficamente delimitato dalla congiungente Torre Archirafi (37°42.871 N, 015°13.183 E) a Nord, con Capo Santa Croce (37°14.569 N, 015°15.430 E) a Sud. E’ un area che gode di un elevato grado di produttività primaria in primo luogo grazie alla presenza delle foci dei fiumi Simeto e S. Leonardo e in secondo luogo grazie alle correnti che derivano dalla circolazione delle acque nello Stretto di Messina che generano un flusso residuale netto a favore del Mar Ionio; l’area scelta per il nostro studio è il litorale settentrionale del Golfo di Catania, in prossimità di aree portuali commerciali e turistiche (Fig. 1). Questa zona è sottoposta ad un forte impatto antropico, dovuto alla presenza di numerosi impianti turistici, alla striscia di sbarco dell’aeroporto, urbanizzazione spesso illegale che causa la distruzione degli habitat, ma soprattutto alle attività commerciali e diportistiche presenti nella città di Catania, in corrispondenza dei porti. Destano inoltre preoccupazione l’inquinamento delle acque derivante da idrocarburi, scarichi civili ed industriali.

Figura 1. Aree portuali selezionate per il trapianto di organismi di Mytilus galloprovincialis.

All’interno del Golfo è possibile distinguere diverse regioni, ciascuna contraddistinta da caratteristiche proprie peculiari. L’area più a Nord, dominata dall’Etna, è caratterizzata dalle colate laviche del 1669; le sue coste sono costituite prevalentemente da rocce ignee e appaiono dunque notevolmente frastagliate. In quest’area la piattaforma continentale è praticamente assente ed il fondo digrada rapidamente fino a –80 m entro un miglio dalla costa.

L’area centrale del Golfo, più precisamente da Punta Aguzza a Capo Mulini, è contraddistinta dalla presenza dell’Area Marina Protetta “Isole Ciclopi”, la quale si estende davanti al paese di Aci Trezza ed il cui cuore è rappresentato da un piccolo arcipelago composto dall’Isola Lachea e sei faraglioni disposti ad arco. Tali formazioni sono costituite da lave basaltiche, caratterizzate da forme di cristallizzazione colonnare. I fondali della riserva, si presentano lavici fino a circa –30 m di profondità, mentre superati i –50 m il substrato diviene argilloso.

L’area meridionale del Golfo di Catania, si differenzia per la presenza di un’ampia fascia sabbiosa, in corrispondenza del litorale della Playa, che si estende per circa 20 Km, dal porto di Catania fino ad Agnone. Alle spalle di tale area vi è la piana alluvionale di Catania, solcata dai fiumi Simeto e San Leonardo, i quali influenzano l’intera regione apportando un costante rifornimento di nutrienti e materiale sedimentario. Ciò crea le condizioni ottimali necessarie alla fioritura del fitoplancton, con conseguente proliferazione dello zooplancton, nutrimento di pesci ed altri superpredatori come i cetacei. Il tratto più a Sud del Golfo, diviene nuovamente roccioso, contraddistinto stavolta dalle lave e calcareniti pleistoceniche dell’altopiano Ibleo. Qui il fondale è basso e la sua profondità massima non supera i –20 m a 8 miglia dalla costa, a causa della presenza di una grande piattaforma continentale. Essa è stretta ed allungata, e digrada dolcemente sino a circa –90 m, oltre cui si ha un notevole incremento della pendenza.

I parametri fisico-chimici dell’intero Golfo di Catania, sono quelli tipici del bacino ionico. La T° dell’acqua subisce ampie variazioni annuali, con massime superficiali di 26,30 °C, e minime in profondità di 14,68 °C. La saturazione di ossigeno ha valori compresi tra il 90% ed il 110%. La salinità è compresa tra il 38,27‰ ed il 38,62‰. I sali nutritivi sono scarsi. I sedimenti sono distribuiti secondo delle fasce granulometriche allungate parallelamente alla costa; ad una fascia costiera di sabbie fini più o meno limose ne succede una con limi leggermente sabbiosi o argillosi, e quindi una con argille più o meno limose. Inoltre sul bordo della piattaforma, a circa 110 m di profondità, 3 miglia al largo del porto di Catania, è presente una sacca di sabbie fini residuali würmiane. In fine, nei sedimenti sono presenti metalli pesanti distribuiti anch’essi per bande di concentrazione parallele alla costa e per valori crescenti verso il largo, in accordo con la distribuzione granulometrica dei sedimenti.

2.2 Posizionamento delle reste e campionamento dei mitili

Il posizionamento delle rest, i successivi prelievi dei mitili e la loro consegna presso il Laboratorio di Igiene Ambientale degli Alimenti (LIAA) sono stati effettuati a cura dell’Ecosezione Frigia del Movimento Azzurro e sono stati coordinati dal Segretario Dott. Giuseppe Monaco sotto la supervisione  del Presidente Dott. Giovanni Barbagallo per il completamento del progetto scientifico in convenzione fra Ecosezione Frigia del Movimento Azzurro e l’Università di Catania. Nell’area di studio il reperimento di mitili naturali è difficoltoso, per questo motivo l’indagine di monitoraggio è stata effettuata tramite organismi di Mytilus galloprovincialis provenienti da una popolazione allevata in un impianto di mitilicoltura della Sicilia orientale, traslocati in reste per un periodo di 4 settimane della stagione primaverile e un uguale periodo nella stagione autunnale, nelle aree da monitorare prive di organismi nativi.

Gli organismi posizionati nelle reste erano di taglia omogenea, approssimativamente compresa tra il 70 e il 90% delle dimensioni massime della specie, e in ogni resta sono stati posizionati mediamente 100 individui.  Le reste sono state fissate ad una profondità compresa tra 1 e 5 metri e ad almeno 1 metro dal fondo. Trascorse 4 settimane, gli organismi traslocati sono stati recuperati e conservati a -20°C fino al momento delle analisi, effettuate presso il Laboratorio di Igiene ambientale e degli Alimenti (LIAA) dell’Università degli Studi di Catania, Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e Tecnologie Avanzate.

2.3 Estrazione e quantificazione dei metalli

Per il trattamento dei campioni in laboratorio è stato utilizzato materiale da dissezione (coltelli, bisturi, pinzette e forbici) in acciaio inossidabile per evitare possibili contaminazioni. Per ogni esemplare, mediante l’utilizzo di una bilancia analitica, sono stati pesati 0,5 g di tessuto muscolare, immediatamente conservati in appositi contenitori, in plastica sterile monouso, prima del successivo ciclo di mineralizzazione.

La mineralizzazione è stata effettuata in vaso chiuso, utilizzando l’apparecchio Milestone Ethos TC. Si tratta, in particolare, di un sistema chiuso a microonde che prevede l’utilizzo di contenitori in PTFE con coperchio, alloggiati in piastre multiple, nei quali sono state trasferite le aliquote di tessuto. Il metodo per i tessuti animali prevede la digestione totale con una miscela di 6 ml di HNO3 al 65% e 2 ml di H2O2 al 30%; per ogni tornata di campioni sono stati preparati anche dei bianchi contenenti solo la soluzione digestiva.

Terminato il ciclo di mineralizzazione, i contenitori sono stati aperti sotto cappa dopo averli lasciati raffreddare a temperatura ambiente per una notte; successivamente i campioni digeriti sono stati trasferiti in provette di plastica sterile e portati ad un volume di 30 ml con acqua bidistillata.

I contenitori utilizzati per la mineralizzazione sono stati sottoposti a lavaggi con acqua acidulata (HNO3 1:5) dopo ogni ciclo digestivo.

L’analisi quantitativa è stata effettuata mediante ICP-MS (Inductively Coupled Plasma-Mass Spectrometry) Perkin Elmer. La tecnica ICP-MS è una tipologia di spettrometria di massa altamente sensibile e in grado di effettuare determinazioni di tipo quali-quantitativo su molteplici sostanze inorganiche, metalliche e non metalliche, presenti anche in concentrazioni inferiori a una parte per trilione. In ICP-MS, il plasma è utilizzato per atomizzare e ionizzare gli atomi del campione. Gli ioni, ottenuti, vengono quindi fatti passare, attraverso un sistema di aperture (coni), nell’analizzatore di massa, nell’ambito di un sistema che lavora sotto vuoto. Gli isotopi degli elementi vengono identificati in base al rapporto massa/carica (m/z), tramite un analizzatore a quadrupolo, e l’intensità di ogni picco è proporzionale alla quantità del particolare isotopo dell’elemento nel campione.

I metalli scelti per le analisi sono: As, Cd, Cr, Cu, Hg, Mn, Ni, Pb, Se

3.0 Risultati e Discussioni

Il regolamento (CE) n. 1881/2006 della commissione del 19 dicembre 2006 definisce i tenori massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari poiché ai fini della tutela della salute pubblica è essenziale mantenere il tenore dei contaminanti a livelli accettabili sul piano tossicologico. Nell’ambito di tale normativa, come è noto, sono solo tre i metalli tossici ad essere regolamentati ai fini della tutela della salute dei consumatori, il Pb, il Cd e il Hg. Nel quadro della direttiva 93/5/CEE, è stato attuato nel 2004 il compito SCOOP 3.2.11 relativo alla «valutazione dell’esposizione alimentare all’arsenico, al cadmio, al piombo e al mercurio della popolazione degli Stati membri dell’UE». In considerazione di tale valutazione e del parere del comitato scientifico della valutazione umana, SCF, è opportuno adottare misure volte a ridurre quanto più possibile la presenza di piombo negli alimenti. A tal proposito è stato stabilito il tenore massimo di Piombo nei molluschi bivalvi che corrisponde ad un valore di 1.5 mg/kg.  Per quanto concerne il cadmio, nel parere del 2 giugno 1995 l’SCF ha approvato una PTWI di 7 μg/kg per peso corporeo e ha raccomandato di intensificare gli sforzi per ridurre l’esposizione alimentare al cadmio, dal momento che i prodotti alimentari sono la principale fonte di assunzione di cadmio nell’uomo. Con il compito SCOOP 3.2.11 è stata effettuata una valutazione dell’esposizione alimentare. In considerazione di tale valutazione e del parere dell’SCF, è opportuno adottare misure volte a ridurre quanto più possibile la presenza di cadmio negli alimenti. A tal proposito è stato stabilito il tenore massimo di cadmio nei molluschi bivalvi che corrisponde ad un valore di 1 mg/kg. Per quanto concerne il mercurio, l’EFSA ha adottato, in data 24 febbraio 2004, un parere sul mercurio e il metilmercurio negli alimenti e approvato la dose settimanale tollerabile provvisoria (PTWI) di 1,6 μg/kg per peso corporeo. Il metilmercurio è la forma chimica che desta le maggiori preoccupazioni e può costituire oltre il 90 % del mercurio totale nei pesci e nei frutti di mare. Tenuto conto dei risultati del compito SCOOP 3.2.11, l’EFSA ha concluso che destavano minore preoccupazione i tenori di mercurio riscontrati negli alimenti diversi dal pesce e dai frutti di mare. Le forme di mercurio presenti in questi altri alimenti non sono, nella maggior parte dei casi, metilmercurio e quindi possono essere considerati una minore fonte di rischio. Nel caso del metilmercurio, è opportuno un approccio che, accanto alla fissazione di tenori massimi, preveda consigli mirati destinati ai consumatori così da tutelare i gruppi vulnerabili della popolazione. Per questo motivo sul sito Internet della direzione generale per la Salute e la tutela dei consumatori della Commissione europea è stata pubblicata una nota informativa sul metilmercurio nel pesce e nei prodotti della pesca. Anche vari Stati membri hanno fornito su questo tema indicazioni pertinenti alla popolazione. Il tenore massimo di mercurio permesso nei molluschi bivalvi è di a 0,50 mg/Kg.

Gli standard di qualità delle acque superficiali sono invece fissati dal D.lgs. 152/2006, Parte Terza, Allegato 1. Tranne nel caso della presenza naturale di particolari composti, la presenza di inquinanti con concentrazioni superiori a quelle della tabella 1 A del suddetto decreto (Figura 2), determina la classificazione nelle classi “scadente” o “pessimo” del corpo idrico superficiale e l’adozione nei piani di tutela delle misure atte a prevenire un ulteriore deterioramento e a conseguire progressivamente lo stato “sufficiente” e “buono”.

Figura 2. Tabella 1/A del D.Lgs.152/2006 che definisce le norme in materia ambientale

Nei campioni di Mytilus galloprovincialis traslocati nei siti portuali prescelti nell’ambito di tale progetto, dopo 4 settimane di posizionamento durante il periodo primaverile, solo in una piccola percentuale (5.4%) di individui contenuti nelle reste del sito di Riposto sono state misurate delle concentrazioni medie di Pb >1.5 mg/Kg. Le concentrazioni medie di Pb, Cd e Hg sono però inferiori ai limiti fissati dal Reg. 1881/2006 in tutti i siti di traslocamento. Complessivamente i risultati ottenuti hanno evidenziato un sensibile aumento delle concentrazioni della maggior parte dei metalli nelle aree in cui i mitili sono stati traslocati rispetto alle loro concentrazioni iniziali accumulate all’interno dell’allevamento (Tabella 1 e 2), ad eccezione del Vanadio (V) misurato nei campioni traslocati durante il periodo autunnale (Tabella 2)

Tabella 1. Concentrazioni medie dei metalli analizzati nei campioni trapiantati nel periodo primaverile del 2016 nei siti di RP-Porto, CT1 Porto e CT2 Porto e confronto con le concentrazioni riscontrate nell’allevamento di provenienza.

MetalliAllevamentoRP PortoCT1 PortoCT2 Porto
As (p=0.002)1,3368,3263,3955,117
Cd  (p=0.043)0,0350,1210,0440,041
Cr0,4490,7370,4480,474
Cu (p=0.043)0,6225,6631,2411,489
Hg0,0090,0230,0160,010
Mn (p=0.020)0,4982,7740,7911,205
Ni (p=0.048)0,0920,2590,0800,128
Pb (p=0.043)0,2301,3200,2450,207
Se0,5081,0640,5050,694
V  (p=0.043)0,1372,0350,3800,788

Tabella 2. Concentrazioni medie dei metalli analizzati nei campioni trapiantati nel periodo autunnale del 2016 nei siti di RP-Porto, CT1 Porto e CT2 Porto e confronto con le concentrazioni riscontrate nell’allevamento di provenienza.

MetalliAllevamentoRP PortoCT1 PortoCT2 Porto
As (p=0.006)1,3363,0311,3751,861
Cd0,0350,0290,0190,031
Cr (p=0.018)0,4490,3990,7080,484
Cu0,6222,0582,4442,668
Hg0,0090,0130,0170,016
Mn0,4981,1411,1381,915
Ni (p=0.009)0,0920,0660,3600,241
Pb (p=0.031)0,2300,4710,2250,361
Se0,5080,2480,2810,280
V0,1370,1940,1980,362

In particolare effettuando il test di Kruskal-Wallis per campioni indipendenti sulle concentrazioni trovate durante il periodo primaverile, si è evidenziato che tutti i metalli sono significativamente più alti nel porto di Riposto (RP Porto) rispetto agli altri siti, ad eccezione di Cr, Hg e Se. Nelle due area di traslocamento in prossimità del porto di Catania è emersa una contaminazione maggiore di As (p<0.001), Cu, Mn, Se e V (p<0.01) nel punto CT2 rispetto al CT1.

Elaborando i dati relativi al periodo di traslocamento autunnale, il quadro di biodisponibilità di metalli che si era presentato nel periodo primaverile è significativamente cambiato. Il Pb e l’As sono rimasti significativamente più alti nel punto di RP (p<0.05  e p<0.01 rispettivamente). Sono state invece riscontrate concentrazioni di Cr e Ni significativamente più alte nel sito CT1-Porto (p<0.05 e p<0.01 rispettivamente), e nessuna differenza significativa dal confronto dei rimanenti metalli.

E’ stato anche effettuato un confronto con la letteratura scientifica per confrontare i valori riscontrati nelle aree monitorate per la realizzazione di questo studio con altre aree della regione mediterranea.

Gli studi selezionati dalla letteratura scientifica hanno utilizzato M. galloprovincialis come bio-indicatore della qualità dell’ambiente marino, traslocando organismi provenienti da aree di controllo nelle aree da monitorare (Tabella 3) o analizzando direttamente campioni nativi della stessa specie (Tabella 4).

Complessivamente le concentrazioni misurate nei campioni appartenenti a questo studio, cadono all’interno del range fornito in letteratura scientifica o sono più bassi.

L’unico sito che ha dei valori di metalli sempre più alti di quelli riscontrati nella nostra area di studio è quello della laguna di Venezia (Moschino et al., 2011).

Il Cr invece ha medie più alte in M. galloprovinciali trapiantato lungo le coste dell’adriatico (3.37 mg/Kg) (Gorbi et al., 2008) e in popolazioni native delle coste mediterranee spagnole (7.32 mg/kg) (Zorita et al., 2007).

Il Cu ha concentrazioni più elevate in M. galloprovincialis traslocato lungo le coste nord occidentali del Mediterraneo (8.25 mg/Kg) (Romeo et al., 2003) e lungo la costa turca (6.8 mg/Kg) (Okay et al., 2015). Tre popolazioni native delle coste marocchine e delle coste mediterranee italiane e spagnole hanno concentrazioni di Cu significativamente superiori (8.04, 12, e 22 mg/Kg rispettivamente) (Maanan et al., 2008; Zorita et al., 2007) a quelle riscontrate nella nostra area di studio. 

Mn, Ni, Se e V sono stati poco studiati in letteratura, ma complessivamente pare che la biodisponibilità del Mn e del Ni sia maggiore lungo le coste turche, adriatiche e marocchine e libiche (Okay et al., 2015; Gorbi et al., 2008; Maanan et al., 2008; Jovic´ et al., 2014; Galgani 2014).

I metalli più studiati sono quelli regolamentati, Cd, Hg e Pb. Le concentrazioni medie di Cd da noi riscontrate presentano un range spesso più basso rispetto a quello riportati in studi in letteratura (Galgani 2014; Romeo et al., 2003; Gorbi et al., 2008; Giarratano et al., 2010; Benali et al., 2016; Maanan et al., 2008; Zorita et al., 2007; Maulvault et al. ,2015; Jovic´ et al., 2014). Il Hg ha concentrazioni più alte sono in due studi relativi a organismi nativi della coste mediterranee francesi e spagnoli (Zorita et al., 2007; Maulvault et al. ,2015). Il Pb analizzato in organismi trapiantati è maggiore solo in uno studio effettuato nel Beagle Channel (Giarratano et al., 2010), mentre in popolazioni native del mediterraneo occidentale sembra avere concentrazioni significativamente maggiori rispetto a quelle riscontrate in questo studio (Benali et al., 2016; Rouane-Hacene et al., 2009; Maanan et al., 2008; Zorita et al., 2007; Jovic´ et al., 2014), superando spesso i limiti consentiti dal regolamento N.1881/2006.

Tabella 3. Confronto bibliografico con la letteratura scientifica relativa all’accumulo di metalli pesanti in mitili trapiantati. *Ai fini di un confronto i risultati sono stati convertiti in peso umido in base alla % di umidità  fornito medio del 70%.

AsCrCuMnNiSeVCdHgPbArea di StudioRiferimento Bibliografico
1,3360,4490,6220,4980,0920,5080,1370,0350,0090,23AllevamentoQuesto Studio
3,95- 8,330,474- 0,7371,241 5,6630,791 – 2,7740,08 – 0,2590,505 – 1,0640,38 – 2,040,044 – 0,1210,01 – 0,0230,207 – 1,32Gulf of CataniaQuesto Studio – Spring
1,375- 3,0310,399 – 0,7082,058 – 2,6681,138 – 1,9150,066 – 0,3600,248 – 0,2810,194 – 0,3620,019 – 0,0310,013 – 0,0170,225 – 0,471Gulf of CataniaQuesto Studio-Autumn
n.d.0,111 – 1,16n.d.1,07 – 1,710,3 – 1,51n.d.n.d.0,186 – 0,3570,014 – 0,0190,12 – 0,19Libyan coastGalgani 2014*
n.d.n.d.0,93 – 8,25n.d.n.d.n.d.n.d.0,159 – 0,302n.d.n.d.NW MediterraneanRomeo et al., 2003*
n.d.0,3 – 1,10,9 – 6,81,8 -8,20,9 -4,3n.d.n.d.0,001 – 0,003n.d.2,4 -14Turkish marinasOkay et al., 2015
2,24 – 6,370,09 – 3,371,19 – 2,410,63 – 4,510,219 – 1,81n.d.n.d.0,135 – 0,5970,006 – 0,0150,168 – 0,438Adriatic coastGorbi et al., 2008*
1,35 – 7,358,4 – 26,41,2 -16,2n.d.4,2 – 8,4n.d.n.d.0,06 – 0,8430,042 – 0,5073 -10,9Lagoon of VeniceMoschino et al., 2011*
n.d.n.d.2,05 – 10,9n.d.n.d.n.d.n.d.0,075 – 0,693n.d.3,06 – 8,63Beagle ChannelGiarratano et al., 2010*

Tabella 4. Confronto bibliografico con la letteratura scientifica relativa all’accumulo di metalli pesanti in mitili selvatici. *Ai fini di un confronto i risultati sono stati convertiti in peso umido in base alla % di umidità  fornito medio del 70%.

AsCrCuMnNiSeVCdHgPbArea di StudioRiferimento Bibliografico
n.d.n.d.1,584n.d.n.d.n.d.n.d.1,113n.d.2,349Algerian west coastBenali et al., 2016*
n.d.n.d.1,17 – 1,58n.d.n.d.n.d.n.d.0,198 – 0,204n.d.1,38 – 5,02Algerian west coastRouane-Hacene et al., 2009*
n.d.2,648,046,249,84n.d.n.d.2,160,182,88Moroccan coastal regionMaanan et al., 2008*
n.d.0,213 – 1,001,65 – 2,55n.d.n.d.n.d.n.d.0,12 -0,1860,033 – 0,0780,66 – 1,2 NW Mediterranean Sea (France) Zorita et al., 2007*
n.d.0,51 – 1,541,71 -12n.d.n.d.n.d.n.d.0,081 – 0,1650,024 – 0,030,57 -8,94  NW Mediterranean Sea (Italy) Zorita et al., 2007*
n.d.0,969 – 7,321,71 -22n.d.n.d.n.d.n.d.0,189 – 0,2670,039 – 0,1650,54 – 11,55   NW Mediterranean Sea (Spain) Zorita et al., 2007*
2,640,31,44n.d.<lodn.d.n.d.0,0450,0390,111Tagos (Portogallo)Maulvault et al. ,2015*
2,431,352,52n.d.2,13n.d.n.d.0,2220,0210,027Delta del Po (Italia)Maulvault et al. ,2015*
4,80,421,5n.d.<lodn.d.n.d.0,2820,0660,177Delta dell’Ebro (Spagna)Maulvault et al. ,2015*
3,8 -4,30,09 – 0,100,84 -1,000,60 -0,750,2550,89 -1,010,38 – 0,470,22 – 0,24n.d.0,25 – 0,29Calvi Bay (Corsica)Richi et al., 2014*
n.d.n.d.1,69 – 3,062,88 – 4,680,41 -2,25n.d.n.d.0,36 – 0,660,06 0,150,75 -1,36Boka Kotorska Bay (Croazia)Jovic´ et al., 2014*

Dissesto idrogeologico: La riflessione del Movimento Azzurro

Il Movimento Azzurro si è proposto sulla scena del mondo ambientalista ormai da un trentennio, fondato dall’onorevole Gianfranco Merli, sincero democratico e cattolico impegnato in politica, professore e studioso molto serio ed avveduto, proprio per approcciare ad un nuovo modo di fare politica per la tutela ambientale e praticare vero ambientalismo.

Da ambientalisti di morale cristiana ci siamo voluti porre sullo scenario dell’ecologismo italiano, come movimento di proposta, un movimento che non sfugge anche alla critica o alla polemica quando queste siano opportune per evidenziare guasti, ma che non cerca la ribalta della cronaca esclusivamente per condannare.

Stiamo purtroppo assistendo a questo modo inconsulto di fare ambientalismo ormai da troppi anni, le scene della ribalta sono aperte solo per poche organizzazioni che ormai si sono tramutate in tutt’altro che associazioni di volontariato.

Le cifre riguardanti i fenomeni di dissesto idrogeologico nel nostro Paese, rappresentate nel tempo dal Dipartimento della Protezione Civile, sono relative agli ultimi ottant’anni, ma sono state presentate sul finire dell’attività del Dipartimento della Protezione Civile alla Camera; esse ci parlano di oltre 5.400 alluvioni e 11 mila frane, indicando il rischio idrogeologico secondo solo a quello sismico tra i rischi naturali che affliggono il nostro Paese.

Un altro dato è certo: negli ultimi venti anni i problemi del dissesto idrogeologico si sono aggravati causando danni per oltre 30 mila miliardi e centinaia di vittime.

Le cause sono state enunciate numerose volte da esperti e da rappresentanti del mondo ambientalista.

Non è un caso che il fenomeno del dissesto idrogeologico si sia aggravato negli ultimi venti anni, tale è infatti il tempo sopravvenuto all’abbandono da parte dello Stato delle politiche per il territorio e dell’azione di manutenzione dello stesso attraverso la diretta realizzazione di opere di difesa idraulica. Durante gli anni 70 dello scorso secolo, lo Stato ha delegato parte dei propri compiti alle Regioni, dapprima con il DPR 11 del 1972, poi con la grossa delega del DPR 616 nel 1977.

Contestualmente a questo trasferimento di competenze è venuta meno la politica nazionale e l’interesse verso la tutela del territorio in Italia, così come sono venute meno la politica forestale e la politica regionale in agricoltura. Negli ultimi anni si è proceduto solo a cambiare le denominazioni dei Ministeri e delle competenze ad essi conferite. Il Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste, una volta Ministero di primaria importanza economica,  è divenuto prima Ministero delle risorse agricole e forestali, materie queste devolute alle Regioni, poi altre modifiche ad ogni cambio di governo, fino ad arrivare all’attuale Ministero dell’Agricoltura e della “Sovranità alimentare”?? le Foreste sono scomparse dalla intestazione ministeriale e non si comprende se vi sia un raccordo sulla materia tra le attuali “competenze delle Regioni” e quelle dello Stato, che a questo punto non ne ha più, non ravvisandosi alcun riferimento al patrimonio forestale italiano in alcuno dei dipartimenti ministeriali.

Questa politica forestale risulta in perfetta continuità con quella del governo Renzi che nel 2016 riuscì a sopprimere il Corpo Forestale dello Stato, una benemerita Amministrazione Statale che ha operato negli scorsi due secoli, per la tutela e salvaguardia del patrimonio forestale italiano e la difesa del suolo attraverso la realizzazione di opere ingegneristiche tese alla conservazione, tutela e miglioramento della rete idraulico-forestale del Paese.

Tale sciagurata opzione, ha costituito la spallata finale per il totale abbandono del presidio istituzionale, nei secoli scorsi posto a salvaguardia del territorio italiano attraverso le circa milleduecento Stazioni Forestali, esistenti sul territorio nazionale.

Necessitano livelli di responsabilità differiti e non basta che i Ministeri centrali preposti a queste materie esercitino un coordinamento, che per altro è contestato, come nel caso dell’agricoltura, dalle Regioni, ma è necessario che lo Stato, attraverso il Parlamento, si riappropri della politica di indirizzo nazionale in materia di difesa del suolo, così come in materia forestale.

L’ambiente e il territorio, che è parte costitutiva di esso, non hanno confini amministrativi, non si possono proporre politiche ambientali per confini amministrativi; i bacini idrici, per esempio, non sempre coincidono con i limiti territoriali di un ente locale e la legge 183 del 1989, pur necessitando di un’ulteriore revisione, non trova oggi ancora definitiva applicazione. La radiografia del nostro Paese fornisce un quadro assolutamente allarmante, sia per il numero di avversità climatiche, che è stato ricordato, sia per la loro distribuzione sul territorio.

L’Italia risulta periodicamente colpita ed in misura crescente da alluvioni, inondazioni, straripamenti, frane e smottamenti, da eventi cioè che dimostrano il degrado ambientale e non solo del territorio medesimo, ma anche la sua fragilità ed insieme l’assenza di difese adeguate.

 Le indagini del servizio geologico nazionale hanno evidenziato che sono a rischio idrogeologico ben 4 mila e 600 Comuni, circa il 65% del territorio nazionale.         

In Italia il numero dei Comuni che negli anni tra l’ultimo decennio del 1900 ed il primo degli anni 2000 hanno registrato la frequenza delle frane e delle alluvioni è stata sempre maggiore, sono stati ben 1.500 i Comuni colpiti da alluvioni e più di 2.000 quelli che hanno subito danni, spesso molto ingenti, a causa di frane e di smottamenti.

I risultati prodotti fino ad oggi dalla legge 183 sulla difesa del suolo non sono da considerarsi soddisfacenti. La Commissione parlamentare Ambiente e Territorio, dove noi abbiamo anche riferito il nostro parere nell’indagine conoscitiva sul dissesto del territorio italiano, dice che l’analisi allo stato della pianificazione degli interventi, la disponibilità di risorse tecnico-scientifiche e di adeguati finanziamenti, evidenziano le difficoltà di conseguire gli obiettivi a suo tempo previsti, mirati alla prevenzione dai rischi alluvionali e al risanamento dal degrado di ampia parte del territorio nazionale.

Inoltre, l’impianto istituzionale della l.183 risulta ampiamente disatteso, soprattutto in alcune zone del Paese e nessun piano di bacino, che è l’atto più significativo ed importante di programmazione dell’azione e degli interventi sul territorio, è stato finora formulato in maniera completa.

D’altronde il fatto che le norme vengono puntualmente tradotte in progetti ed atti efficaci dipende anche dalla conoscenza dei parametri fisici del territorio e dei fenomeni idrologici. Ugualmente dipende dalla tempestiva conoscenza degli stessi parametri la possibilità di evitare circostanze atmosferiche eccezionali e che queste circostanze atmosferiche si traducano in brutale distruzione di vite umane. 

Permane tuttora un grosso disordine, cioè una sovrapposizione nelle reti di monitoraggio dello Stato e delle Regioni, così come nei servizi cartografici che sono molte volte indipendenti tra di loro, pure nella possibilità che oggi le moderne tecnologie ci consentano di effettuare con trasparenza una interconnessione.

Tale situazione contribuisce alla totale mancanza di pianificazione degli interventi di difesa del suolo e ad un caos della programmazione economico-finanziaria da parte delle Regioni. Di tutte le opere di sistemazione idraulica realizzate fino agli inizi degli anni 70 pochissime hanno ricevuto regolari interventi di manutenzione, l’incuria ed il tempo hanno ad oggi vanificato l’esistenza di molte di esse.

Le cronache di questi giorni, come quelle degli anni scorsi, ci hanno indicato anche quanti miliardi si spendono normalmente in Italia per i soli interventi urgenti di risistemazione territoriale. Prevenzione, quindi, conviene anche in termini economici.

La prevenzione, come abbiamo visto, richiede investimenti, quindi spesa ed occupazione. Questa però è una spesa che si può e si deve preventivare, insieme alla pianificazione degli interventi. Bisogna affermare la necessità di una svolta seria e definitiva rispetto ad un atteggiamento del “tirare a campare” fino alla prossima frana; bisogna che lo Stato imponga da subito una seria direttiva per il monitoraggio del territorio.

Allora l’appello che vuole scaturire da questo convegno è rivolto alla classe politica perché affronti in maniera seria e definitiva il nodo delle competenze in materia di tutela e pianificazione dell’uso del territorio, anche se necessario nell’ambito delle riforme istituzionali, in modo da dare certezza ad un intervento che veda la responsabilità e l’indirizzo politico in testa allo Stato, come per altro avviene in altre nazioni europee, quali la Francia che nell’ambito dell’Unione Europea rappresenta, a nostro avviso, il migliore modello di Protezione Civile ma anche di organizzazione statale in materia di politiche territoriali.

Questo modello naturalmente deve vedere l’ampio coinvolgimento delle Province, in primo luogo, nonché dei Consigli Regionali; deve salvaguardare la potestà programmatoria delle Regioni in riferimento alla spesa ed agli interventi, deve spingere il federalismo al pieno coinvolgimento delle autonomie locali, con in primo luogo i Comuni, per la realizzazione degli interventi e per il controllo del territorio in funzione previsionale e di prevenzione del danno.

Un appello è rivolto anche alla società civile e alle organizzazioni che la rappresentano. Serve essere continuamente propositivi, mettere a disposizione le proprie competenze e vigilare come società civile sul fatto che si dia un seguito agli impegni assunti a vari livelli istituzionali, tanto per migliorare organicamente l’organizzazione e la protezione territoriale in Italia, altrimenti iniziative come questa che stiamo svolgendo rimarranno fini a se stesse, improduttive ed allora sarà una sconfitta per tutti noi e non solo per gli sfortunati di turno che saranno coinvolti nel prossimo dissesto idrogeologico.

                                                                                                  Rocco Chiriaco

                                                                                   Presidente Nazionale Movimento Azzurro

Svolta storica sulla fusione nucleare: l’annuncio degli Stati Uniti

La scoperta sarebbe stata fatta dagli scienziati del Federal Lawrence Livermore National Laboratory in California

ROMA – Un significativo progresso nella ricerca sulla produzione di energia pulita e illimitata arriva dagli Stati Uniti dove- secondo quanto scrive il Financial Times- è stata prodotta più energia di quanta utilizzata nel processo di fusione nucleare. La scoperta sarebbe stata fatta dagli scienziati del Federal Lawrence Livermore National Laboratory in California, da dove domani il governo annuncerà una “grande svolta scientifica”. Secondo quanto testimoniano al quotidiano inglese alcune fonti in possesso dei dati preliminari di analisi dell’esperimento, nella struttura del governo statunitense la fusione nucleare realizzata grazie al laser più grande al mondo ha prodotto intorno ai 2.5megajoules di energia, circa il 120% dei 2.1 megajoules di energia utilizzati.

Se i dati venissero confermati, sarebbe una scoperta epocale. Per la prima volta si sarebbe prodotta più energia di quanta utilizzata realizzando il cosiddetto “guadagno netto”, inseguito dalla scienza fin dai primi esperimenti circa 70 anni fa. Se messa a regime la fusione nucleare potrebbe contribuire a produrre energia a zero emissioni con scorie che non richiedono un lungo periodo di tempo per lo smaltimento. Per capirne il potenziale, basti pensare che con una tazzina da caffè di idrogeno si potrebbe alimentare una casa per centinaia di anni. Sentito dal Financial Times, il fisico Arhur Turrel ha affermato: “Se questa scoperta sarà confermata, stiamo testimoniando un momento storico“.

Svolta storica sulla fusione nucleare: l’annuncio degli Stati Uniti (dire.it)https://www.dire.it/12-12-2022/847271-svolta-storica-fusione-nucleare-stati-uniti/

Ecosezione di Caserta protagonista della Festa nazionale dell’albero

Si è conclusa il 24 Novembre 2022, la due giorni dedicata alla Festa dell’albero, magistralmente organizzata dal professore Alessio Usai responsabile del settore ecologia ed educazione ambientale dell’Istituto Comprensivo Statale Giuseppe Garibaldi di Castel Volturno; hanno preso parte alla manifestazione, le principali associazioni di tutela ambientale del territorio, le autorità, il presidente dell’Ente Riserve Lago di Falciano, Costa di Licola, Foce del Volturno, i Dirigenti scolastici di tutti i plessi scolastici di Castel Volturno, i Carabinieri Forestali, i rappresentanti di “Campania più verde”. Le due giornate si sono svolte all’insegna della partecipazione attiva dei bambini delle scuole dell’infanzia, elementari e medie, i quali hanno, per l’occasione, preparato lavori, elaborati, canzoni, poesie, filastrocche e disegni volti a sottolineare l’importanza dell’albero, amico dell’uomo e bene prezioso da proteggere. L’ecosezione Caserta ha curato l’animazione e la piantumazione delle piante. L’evento si è concluso con un convegno cui hanno preso parte tutti gli attori citati. L’occasione ha offerto numerosi spunti di dialogo e riflessione Grazie agli interventi dei ragazzi, delle autorità e delle testimonianze delle associazioni presenti. Attualmente il litorale Domizio sta affrontando una fase abbastanza critica. Per quel che riguarda gli aspetti naturalistici, difatti, la storica Pineta domitia, ha subito una irreparabile aggressione da parte della cocciniglia tartaruga che ne ha sterminato la sua quasi totale interezza . Tuttavia, grazie all’intervento di “Campania più verde” in stretta collaborazione con l’Ente riserve statali, presieduto dal dottore Giovanni Sabatino, si sta portando avanti oramai da un anno, un poderoso piano di riqualificazione di tutta la pineta, riassestando la Duna, mettendo a dimora specie autoctone da sostituire ai Pini oramai morenti. Allo stesso modo è partita una fitta rete di collaborazioni tra tutti gli istituti scolastici, oramai in protocollo d’Intesa fra loro e con le associazioni di tutela ambientale presenti sul territorio. L’Ecosezione Caserta del Movimento Azzurro, ha giocato e gioca un ruolo fondamentale nello svolgimento di numerose di queste attività, occupandosi dell’organizzazione della logistica, laboratori di educazione ambientale, sensibilizzazione e soprattutto organizzando escursioni naturalistiche con percorsi educativo sensoriali. Queste ultime sono volte a riavvicinare e riassestare, in un equilibrio funzionale, i cittadini non soltanto di Castelvolturno, con le risorse naturalistiche del luogo. Principio fondamentale su cui è impostato il focus della Mission dell’Ecosezione Caserta è che una maggiore conoscenza e consapevolezza delle risorse naturalistiche e l’ apprezzamento delle preziosità del territorio, possano portare ad una maggiore e concreta partecipazione della cittadinanza verso un sentimento di identità, attaccamento e partecipazione al territorio stesso. La nostra Ecosezione ha ricevuto numerosi encomi e ringraziamenti, anche ufficiali, da parte dell’amministrazione comunale e delle altre istituzioni presenti sul territorio. Conclusa la seconda Estate di pattugliamenti e monitoraggio per il Progetto Caretta in vista della Stazione zoologica Anton Dohrn, di cui l’Ecosezione è parte attività, ci si accinge ad organizzare il programma per il prossimo futuro. Numerose iniziative vengono dedicate anche alle fasce più deboli, come portatori di handicap, bambini e ragazzi autistici cui viene offerta l’ opportunità di visitare e conoscere le varie realtà naturalistiche presenti sul territorio. In particolare va citata la strettissima collaborazione con le unità cinofile di salvataggio in acqua presiedute da Claudia di Palma. Le stesse, iscritte alla nostra Ecosezione, arricchiscono, con numerose giornate dimostrative, le attività della nostra Ecosezione. Si auspica che a seguito di tutte le numerose collaborazioni messe in atto, si possa raggiungere un risultato concreto e fruttuoso soprattutto nel coinvolgimento dei giovani e dei bambini verso la tutela del patrimonio naturalistico del luogo , ricchissimo di biodiversità e tutelato da numerosi vincoli di protezione.

Il Danno Peggiore dell’Uscita di Draghi? Riguarda Putin e il Gas

di Diego Gavagnin e Vittorio D’Ermo

Da formiche.net, ancora in attesa di conoscere l’esito della crisi di governo, ripubblichiamo l’analisi molto netta di due esperti di energia sul ruolo centrale del Presidente Draghi in Europa per fermare l’aggressione russa con strumenti economici. Tagliare le forniture da Est puntando sul Gnl (e – aggiungiamo noi – sul gas italiano) toglierebbe ogni arma di ricatto a Putin.

Mario Draghi, tra i leader europei, è senza dubbio quello con le idee più chiare su ciò che può fermare Putin o almeno spaventarlo per indurlo a più miti consigli. Serve però determinazione, ciò che certo a Draghi non manca. Il leader italiano è stato l’unico capo di governo europeo a dire esplicitamente che comunque finisca l’aggressione all’Ucraina: “Dobbiamo eliminare per sempre la nostra dipendenza dalla Russia” (Corsera 27.6). 

Ci vorranno un paio d’anni ma l’indipendenza europea dal gas russo sappiamo che è possibile, soprattutto recuperando metano liquido (Gnl) portato con le navi che arriva da tutto il mondo e può andare in tutto il mondo. Il gas non manca, ce n’è così tanto che potremmo già oggi sostituire tutto il petrolio e il carbone che consumiamo.

La solidità della posizione di Draghi la dimostrano i numeri. Fino al 2020, l’Europa importava via gasdotto 150 miliardi di gas russo con contratti pluriennali, che la Russia è sempre stata molto attenta a non violare, sia per non pagare le penali previste per mancata consegna nell’arco dell’anno, sia per non alienarsi completamente la fiducia dei mercati. Delle compagnie private, soprattutto.

Poi c’erano i circa 40 miliardi che gli europei “compravano a pronti”, secondo necessità. Sono quelli che, consegnati abitualmente negli anni precedenti, dall’estate 2021 la Russia ha smesso di darci, senza quindi violare contratti.

Questo, nonostante i prezzi fossero in salita, perché gli acquisti della Cina – impegnata in un imponente piano di metanizzazione – stavano stressando il mercato del Gnl, assieme ad altri fattori, come la siccità in Brasile, la scarsa ventosità del Mare del Nord e il ridotto apporto del nucleare francese, con altri acquisti imprevisti di metano per la produzione di elettricità.

La Russia ha quindi in pancia 190 miliardi di gas destinati all’Europa di cui non saprà cosa fare se noi smettessimo di comprarlo. Gli amici di Putin di casa nostra dicono che smettere di comprare gas russo non risolverebbe il problema perché potrebbe essere venduto su altri mercati. È falso, ed è incredibile come la stampa nazionale non faccia mai alcuna verifica su questo.

La Russia dispone di solo due liquefattori, uno nell’isola di Sakhalin, vicino al Giappone, e uno nella Siberia Artica. Le sue esportazioni di Gnl sono residuali (39 miliardi di mc in un mercato globale di 500 miliardi nel 2021) e non riesce a espandere la produzione senza le tecnologie occidentali. Poi si parla molto del mercato cinese, già rifornito da anni via gasdotto da Sakhalin e da Paesi ex sovietici, come Turkmenistan e Kazakhstan (nel complesso circa 50 miliardi mc nel 2021).

Ci sono però due dettagli che i soloni energetici nazionali, catastrofisti come gradiscono gli editori, si scordano sempre di chiarire. Il gas che dalla Russia va verso la Cina è prodotto da giacimenti diversi da quelli che forniscono l’Europa, e non sono collegati. Potranno forse esserlo in futuro, ma si tratta di stendere altre decine di migliaia di chilometri di gasdotti dallo scarso senso economico e che richiedono molti anni per essere completati. Stesso discorso di tempi lunghi per i due progetti dalla Siberia centro-artica, verso la Mongolia e il nord della Cina.

Ma ciò che più conta è che quando la Cina, e magari anche l’India, fossero fornite di gas russo via gasdotto, si libererebbe tutto il GNL – oggi più di 200 miliardi di mc – che Pechino e Delhi comprano via navi metaniere, pronto per venire in Europa in aggiunta a quello nuovo che nel frattempo già ci stiamo procurando.

Non a caso gli armatori, che devono avere lo sguardo lungo, stanno ordinando sempre più grandi navi che usano il Gnl come carburante (e con cui produrranno a bordo anche l’idrogeno), perché sanno che entro due o tre anni il suo prezzo è comunque destinato a crollare. Con tanti saluti all’economia russa per i prossimi decenni, perché basata sulla vendita di gas e in misura minore di petrolio.

Una decisione formale dell’Europa di non essere più dipendente dal gas russo è la minaccia più seria per convincere Putin a finirla con la guerra all’Europa e all’Occidente. Draghi, come capo del governo italiano, ci stava lavorando d’accordo con gli Usa. Adesso?

http://astrolabio.amicidellaterra.it/node/2741#.Y2o2DKYHzuA.gmail

Comunicato Stampa in margine alla Fictione “IMMA TATARANNI, SOSTITUTO PROCURATORE” Rai1

Le associazioni ambientalistiche Amici della Terra, Mountain Wilderness ……. con questo documento intendono esprimere e divulgare la loro gratitudine nei confronti degli autori della serie televisiva “Imma Tataranni , sostituto procuratore”, i quali, nella puntata andata in onda su RAI 1 il giorno 13 ottobre del corrente mese, hanno avuto il coraggio di aprire un varco nella muraglia di omertà che da decenni impedisce ai nostri concittadini di venire a conoscenza dei fatti reali nascosti dietro al ricorso sregolato delle cosiddette energie rinnovabili e in particolare dietro all’invasione delle gigantesche torri a elica innalzate su tanti crinali della penisola per produrre energia elettrica del vento. Il gravissimo scempio ai paesaggi italiani, con gli irreparabili danni collaterali all’immagine culturale e all’appeal” turistico del Bel Paese, è stato giustificato dalle società coinvolte in questo settore, ricorrendo a una narrazione ampiamente discutibile. Il loro martellante messaggio mediatico, reso possibile dagli ingenti ricavi derivati dalle installazioni già realizzate con il supporto dello Stato, avrebbe dovuto contribuire a creare nel pubblico l’illusione che basterebbe innalzare un numero adeguato di quegli imponenti impianti industriali ( contrabbandati come lievi girandole) sulle creste dei nostri territori più pregiati  per arrestare l’innalzamento delle temperature mondiali dovuto all’effetto serra. Niente di più opinabile! In verità la strada realistica verso la mitigazione della produzione di CO2 sfiora solo marginalmente il ricorso al vento e al sole. Affidarsi fideisticamente a tali risorse, per loro natura inaffidabili, equivale a una pericolosa illusione.  Le nostre associazioni sono pronte a fornire in altra sede a chiunque desiderasse un maggiore approfondimento le ragioni delle nostre ben argomentate perplessità. Qui desideriamo solo sottolineare come la nostra voce sia stata soffocata con ogni mezzo grazie alla complicità o all’ignavia della maggioranza degli schieramenti politici e di quasi tutti i media. Malgrado ciò, anche per merito delle eroiche opposizioni delle Soprintendenze, si è assistito quasi dovunque alla crescente contrarietà delle comunità locali verso l’imposizione di così gravi manomissioni dei loro territori e verso i disagi che ne derivano. Consapevoli di questa situazione di stallo, ora le industrie che lucrano sulla produzione dell’energia elettrica dal vento e dal sole, sfruttano a loro vantaggio l’argomento della necessità urgente di liberarsi dal ricatto del gas proveniente dalla Russia, per raggiungere l’obiettivo fantascientifico dell’indipendenza energetica. Costoro però si guardano bene dall’aggiungere che tale traguardo potrebbe essere teoricamente raggiunto solo al prezzo di una diversa  sudditanza nei confronti dei produttori stranieri di pale eoliche, tra i quali primeggia la repubblica cinese che è anche proprietaria delle terre rare necessarie al funzionamento delle eliche rotanti, come del funzionamento dei pannelli fotovoltaici.  Nell’attesa dell’arrivo dell’ improbabile Messia eolico, quale è il risultato, ad oggi? Anche se le preziose emergenze storico-artistiche e i paesaggi naturali di intere regioni come il Molise, la Basilicata, la Puglia, la Sicilia, sono stati già deturpati da migliaia di gigantesche torri eoliche, altre più di 200 metri,la produzione italiana di elettricità dal vento non copre neppure l’1,5% del fabbisogno energetico totale (i consumi elettrici sono solo una fetta dei consumi totali, il 22%). Il nuovo piano europeo REPowerEU alza ulteriormente l’asticella degli obiettivi e prevede per l’Italia che l’eolico passi da 11 GW di installato al 2021 a 36 GW al 2030. Questo significa che sarebbe necessario ricoprire interamente di torri eoliche uno spazio collinare pari all’intera regione Friuli-Venezia Giulia. La nostra percezione del paesaggio verrebbe praticamente imprigionata dovunque entro una gabbia di torri di acciaio, senza che tale sacrificio arrechi il minimo vantaggio a livello planetario.

Dispiace che a dare finalmente voce alle istanze di gran parte del mondo della cultura e dei territori sulla questione eolica sia una fiction e non l’informazione Rai, che dovrebbe essere a servizio delle comunità.

Il Movimento Azzurro presente alla tappa potentina “Treno del Milite Ignoto”

Il Milite Ignoto: un viaggio per celebrare il centesimo anniversario

Quest’anno ricorre il centenario del Milite Ignoto e lo Stato Maggiore della Difesa ha deciso di celebrare questo anniversario con il «Treno del Milite Ignoto» allestito dal Ministero della Difesa, in collaborazione con il gruppo Ferrovie dello Stato, la Fondazione Fs e la Struttura di Missione, come riedizione del convoglio speciale che nel 1921 trasportò la salma di quel soldato ignoto da Aquileia a Roma, per la tumulazione all’Altare della Patria. Questo viaggio toccherò tutti i capoluoghi di regione per rientrare il 4 novembre a Roma. Oggi, giovedì 20 ottobre è stata la volta di Potenza, infatti al binario 1 nella stazione di Potenza Centrale sarà possibile visitare la mostra itinerante allestita nel convoglio, dalle ore 9 fino alle ore 18.

Ma che cos’è e cosa rappresenta quella tomba?

È un simbolo, per rappresentare i caduti e i dispersi italiani in guerra, ma ha una storia bellissima.

Siamo nel 1920. L’Italia è appena uscita dalla prima guerra mondiale, a pezzi: piange ancora seicento mila morti. Seicento mila ragazzi che spesso erano costretti a uscire dalle trincee e fare assalti suicidi, pena, in caso si fossero rifiutati, la morte.

Il colonnello italiano Giulio Douhet, guardando alla Francia, il 24 agosto 1920 sulle colonne del periodico del movimento, Il Dovere, da lui diretto propone di glorificare la salma del caduto senza nome. È necessario attendere l’11 agosto 1921 perché la proposta, fatta propria dall’onorevole De Vecchi, fosse ufficializzata, grazie anche al dibattito che sul tema si stava appunto scatenato in Francia e Inghilterra. Il 4 agosto il disegno di legge arriva in Aula e l’onorevole Gasparotto chiede alle parti di rinunciare a intervenire perché il provvedimento che rendeva onore ai caduti potesse essere approvato in silenzio. All’unanimità viene chiusa la discussione e rinviato al giorno dopo il voto: con amara sorpresa, ci furono 35  contrari. È Gabriele D’Annunzio a dare il nome di “Milite Ignoto” alla salma del soldato senza nome che avrebbe ricordato nel tempo i sacrifici e gli eroismi della Grande Guerra. 

Si sceglie il posto, che deve essere un luogo aperto, visibile a tutti: l’Altare della Patria in piazza Venezia a Roma è perfetto.

Non resta che scegliere la salma, il cadavere di un soldato che non è stato ancora identificato. E qui, come sempre, la burocrazia si mischia un po’ alla poesia.

Il Ministero della Guerra istituisce una commissione che ha un compito preciso: prelevare undici salme di soldati italiani non identificati. Dal 3 al 24 ottobre la commissione si dedica alla ricerca di undici salme di soldati provenienti da undici diversi campi di battaglia,dove gli scontri erano stati più atroci: Rovereto, le Dolomiti, gli altipiani, il monte Grappa, il Montello, il Basso Piave, il Cadore, Gorizia, il Basso Isonzo, il monte San Michele e Castagnevizza del Carso.

Sono cadaveri di ragazzi senza nome, che nessuno ha identificato, che non hanno elmetto e neppure mostrine.

Le undici bare vengono trasportate ad Aquileia, un paesino del Friuli-Venezia Giulia. Qui, avviene il momento più delicato e solenne: tra queste undici salme dev’essere scelta la bara del soldato che verrà tumulata all’Altare della Patria e che diventerà la bara del Milite ignoto. Il Governo affida questo compito alla madre di un soldato disperso: Maria Bèrgamas, è una friulana e suo figlio è un disperso irredento. Suo figlio Antonio, richiamato alle armi dagli austriaci nel 1914, quando la città di Gradisca apparteneva ancora all’impero, aveva disertato arruolandosi volontario con gli italiani nel 137esimo reggimento di fanteria della Brigata Barletta. Con il nome fittizio di Antonio Bontempelli, escamotage imposto per arruolare i volontari irredenti, era morto sull’Altopiano di Asiago, durante la Strafexpedition.

Il 28 ottobre 1921 nella cattedrale di Aquileia, le undici bare tutte uguali vengono allineate. La signora Bèrgamas deve fare la sua scelta. Nel silenzio più assoluto, passa accanto alle bare una dopo l’altra. Sulla seconda bara le cade lo scialle ma di fronte alla penultima crolla e si accascia invocando il nome del figlio. Quella sarà la bara del Milite ignoto.

Le altre dieci salme sono portate nel cimitero degli eroi di Aquileia. La bara scelta dalla signora Bèrgamas fa il suo viaggio verso Roma, scortata e salutata da tutta l’Italia. La mattina del 4 novembre 1921 la bara di questo soldato senza nome è portata all’Altare della Patria e finalmente tumulata.

Cent’anni dopo, quella salma è ancora lì, «il Fante sacro di Roma» che onora il sacrificio di una nazione intera.

Ufficio Stampa Movimento Azzurro

Giuseppina Paterna

Il Milite Ignoto: un viaggio per celebrare il centesimo anniversario – Senza Tempo Magazine